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Quando facemmo notare ai nostri genitori che l’accostamento dei nostri cognomi formava un’espressione di senso compiuto, e che sarebbe stato quello dunque il nome della nostra compagnia teatrale, le loro profonde remore – di gente di provincia, su un mestiere che non esiste – per un attimo sembrarono sciogliersi.
Più che un gruppo di lavoro incarnavamo un destino? Così dicevano tutti.
Eppure lavorare insieme non è mai stato per noi un atto fluido e naturale. Niente di così compromettente come la scrittura, in effetti, può essere spartito con leggerezza. Siamo noi, infatti, l’implacabile giudice l’uno dell’altra. Al centro per noi c’è sempre stato, e c’è ancora, non la semplicità di un sodalizio spensierato ma una sorta di intimo imperativo categorico, che ci spinge ad affondare con caparbietà nella nostra indefinibile relazione creativa, forti delle nostre differenze e delle nostre affinità.
BIOGRAFIA DELLA PESTE è il testo al quale siamo più affezionati perché parla di un tema caro a entrambi: la vita di provincia, con i suoi stigmi e i suoi impliciti divieti. Parla cioè dei nostri luoghi di origine, ovvero di ciò di cui in fondo continueremo a parlare per sempre. “Si racconta sempre la stessa storia”, diceva qualcuno.
La trama è questa: a Duecampane “morire non è carino, non si fa”. Perfino perdere la vita in un incidente stradale può essere bollato come un atto vergognoso. Chiunque versa in questa imbarazzante condizione, dunque, preferisce far finta di niente, restare al suo posto. Pian piano così il paese si è popolato di morti. Un ragazzo appena defunto, però, un giorno si ribella e inizia a sognare di andare via. Per sempre. Al-di-là dei confini del paese…
Attraverso questa favola psicotica e magica parliamo della nostra adolescenza. Parliamo della tabaccaia e del panettiere, della maestra e del parroco, delle mamme despoti e dei padri intermittenti, dei mille occhi che ti scrutano e del lamento come tappeto sonoro della vita. E poi di quell’angusta strada comunale illuminata da neon a basso costo, glaciali… Veniamo da due posti diversi ma la strada è la stessa.  
Con l’incontro finale dei due protagonisti tentiamo di indicare anche, però, un’alternativa di salvezza. Partendo da qualcosa che ci riguarda intimamente. La relazione. La possibilità di una creazione comune. Non è una sfida semplice. Si tratta della lenta edificazione di un orizzonte d’azione diverso, di una strada diversa. Una strada con luci nuove, più forti, più calde.
“Si dice che la felicità è dietro l’angolo”, mormora la ragazza nel finale.
“Sì, ma l'angolo è lontano” è la risposta.
Francesco d’Amore e Luciana Maniaci – compagnia Maniaci d’Amore

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Andata in scena per la prima volta al Teatro Libero di Milano il 21 gennaio 2013 e interpretata dagli stessi autori (diretti da Roberto Tarasco e prodotti da Nidodiragno), la pièce indiziata ha vinto il premio nazionale di drammaturgia contemporanea Il Centro del Discorso 2011: “per l’intuizione allegorica di fondo e le soluzioni linguistiche fresche e scanzonate, capaci di restituire un’amarezza imprecisata ma incisiva. Partendo da una intuizione di grande potenzialità offre belle invenzioni e molti spunti divertenti in equilibrio sul difficile confine, poco frequente in genere nella drammaturgia italiana, tra comicità, ironia drammatica e surrealismo”. Ancora nel 2013, l’opera – oltre a entrare nella selezione del Premio Scenario – diventa pure un film diretto da Giuseppe Bisceglie e Andrea Tomaselli.

I Maniaci d’Amore sono Luciana Maniaci (29 anni, nata a Messina, psicologa) e Francesco d’Amore (31, Bari, dottore in Lettere). Si conoscono frequentando il Master in Tecniche della Narrazione della Scuola Holden di Torino – diretta da Alessandro Baricco – dove si formano con Gino Ventriglia, Giorgio Vasta, Nanni Moretti, Laura Curino, Chiara Lagani (Fanny&Alexander), Werner Herzog, Carlo Lucarelli e altri. A queste esperienze, si sommano in seguito gli incontri con Gabriele Vacis, Barbara Bonriposi e Arturo Cirillo. Il loro primo spettacolo, IL NOSTRO AMORE SCHIFO, nasce nel 2009 attraverso una coproduzione tra Nidodiragno, il Circolo dei Lettori di Torino e il Teatro Regionale Alessandrino. Vero piccolo cult, questo lavoro è tuttora in tournée e ha già toccato novanta piazze italiane, tra cui Il Teatro Valle Bene Comune di Roma e il festival Primavera dei Teatri di Castrovillari. Nello stesso anno, insieme a Michele Di Mauro e Anita Caprioli, portano in scena un testo teatrale dei fratelli Ethan e Joel Coen intitolato QUASI UNA SERATA, che debutta al Teatro Carignano di Torino con la regia di Marco Ponti e la coproduzione del locale Teatro Stabile; curano inoltre i testi di AMLETO IN PALESTINA, da cui uno spettacolo di Gabriele Vacis prodotto dall’ETI con il Teatro Regionale Alessandrino, che esordisce al Teatro Valle di Roma. Ai successi della menzionata BIOGRAFIA DELLA PESTE, s’aggiungono poi l’arrivo in finale del soggetto cinematografico OMEGA – da loro scritto con Fabio Bonfanti – al Premio Solinas “Idee per il Cinema” 2013, e la vittoria del premio “Scenari pagani” all’omonimo festival di teatro e musica nel 2014; anno in cui scrivono e interpretano MORSI A VUOTO, spettacolo per la regia di Filippo Renda e coprodotto dai festival delle Colline Torinesi e di Castel dei Mondi di Andria. Attualmente, I Maniaci d’Amore sono impegnati come docenti e formatori di drammaturghi e attori in vari progetti di laboratorio. Nel 2015, diversamente, guideranno gli allievi del College Acting della Scuola Holden nel lavoro di drammaturgia collettiva “Cantiere Kafka”. Di prossima pubblicazione infine, per i tipi di Editoria & Spettacolo, un volume a cura di Dario Tomasello contenente tutto il teatro di questo giovane e irrequieto duo; mentre, altre notizie e materiali sulla loro attività si trovano sul sito internet www.maniacidamore.it.

A cura di Damiano Pignedoli