«A volte le persone diventano cattive, soprattutto quelle che ci amano di più». Quella di TROPICANA è una storia familiare vista attraverso gli occhi di una ragazza che, suo malgrado, deve fare l’adulta per la mancanza di figure di riferimento credibili. Gli adulti sono esilaranti nella loro immaturità, nella loro mancanza di prospettive, nei legami dolorosi che non vogliono sciogliere, nell’immobilità compulsiva, nei tentativi continui di risolvere problemi senza soluzione. La lista è lunghissima ma, come detto, esilarante perché vista dagli occhi di una ragazza che invece sogna il proprio futuro: lo sogna sconfinato e vitale com’è giusto che sia alla sua età.
La casa materna diventa una specie di nido-prigione, da cui sembra che la fuga sia l’unica soluzione praticabile. Nonostante i personaggi si facciano del male, perché non capiscono cos’è che li fa soffrire, contemporaneamente fanno di tutto per risolvere i loro problemi in uno slancio vitale fuori misura. Questa lotta tra il dolore e la voglia di vivere crea dei cortocircuiti interessanti. La pièce parla di esseri umani che vogliono vivere, anche se non lo sanno.
La canzone (famosa hit del 1983 del Gruppo Italiano, da cui il titolo della commedia), che Nina canta esercitandosi con la chitarra nella sua cameretta, sembra il preludio dell’inevitabile e anelato abbandono di quella situazione senza futuro, dove tutto fa presagire che il vulcano esploderà. Invece il dramma ci propone un’altra possibilità, a dire il vero più sorprendente: affrontare il nemico, rimediare al malessere attraverso la cura. La cura sta dentro, lì dentro la casa, dentro i rapporti. Pur faticosamente, la ragazza riesce a liberarsi senza fuggire o abbandonare, attuando un processo che non genera rimorsi bensì prospettive.
TROPICANA è un antidoto alla diffidenza intergenerazionale, un testo che parla ai giovani e agli adulti, senza retorica ma con estrema sincerità e chiarezza. Una storia in cui si ride molto e insieme si piange.
Una creazione drammaturgica, inoltre, nata all’interno di “CRISI”: un laboratorio permanente di drammaturgia, condotto da Fausto Paravidino per il Teatro Valle Occupato di Roma che ha fortemente sostenuto questo progetto di formazione, permettendo di immaginare nuovi modelli creativi.
Irene Lamponi
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L’opera che leggerete è diventata anche uno spettacolo, attualmente in tournée, andato in scena per la prima volta il 12 ottobre 2016 al Teatro della Tosse di Genova. Prodotto dalla medesima Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse (teatrodellatosse.it), con la regia di Andrea Collavino, le scene di Ruben Esposito e i costumi di Daniela De Blasio, è interpretato dall’autrice stessa e da Elena Callegari, Cristina Cavalli e Marco Rizzo. «Una figlia, una povera madre, la vicina che bestemmia, il fidanzato carino […]. Un lavoro sincero e spigliato, vibrante di emozioni» (Laura Santini, in “Hystrio”, n. 1, 2017, p. 70).
Irene Lamponi. Nata a Venezia nel 1986, laureata in Lettere, si diploma in Recitazione nel 2009 alla scuola del Teatro a l’Avogaria della sua città. Lavora con il Teatro Stabile del Veneto e continua a formarsi e a lavorare con registi come Emma Dante, Jurij Ferrini, Fausto Paravidino, Claudio Tolcachir, Andrea Lanza e Giorgio Sangati. Dal 2010 inizia anche a creare progetti teatrali indipendenti, entrando nella compagnia AltroQuando di Genova e dedicandosi alla drammaturgia accanto al lavoro d’attrice. Scrive perciò quattro testi: LA PACE DENUNCIATA nel 2010, con lo scrittore olandese Ilja Leonard Pfeijffer; LABBRA nel 2011; IL CANTO DEI CORVI e, nel 2014, appunto TROPICANA. Oltre che in Italia, i suoi spettacoli sono stati rappresentati in Belgio, Olanda e Cina; mentre nel 2012 è entrata a far parte del gruppo di scrittura, guidato da Fausto Paravidino, al Teatro Valle Occupato di Roma. Ha uno spazio web, infine, al link “irenelamponi.blogspot.it”.