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E' tornato a Genova, dopo circa 7 anni, il Teatro delle Albe proponendo alla città, dal 16 al 19 febbraio ospite del Teatro della Tosse, il suo Avaro da Molière, che esordì la primavera dell'anno scorso a Ravenna e che ho avuto occasione di vedere e recensire nella sua tappa al Teatro Astra di Torino. La drammaturgia nel frattempo, vero e proprio organismo di grande vitalità nella mani attente di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, si è come dire evoluta, è 'cresciuta', pur mantenendo intatte le sue caratteristiche di fondo ed il suo fascino. Senza tornare alle considerazioni di cui alla recensione, a mio parere, e forse proprio grazie alla rivisitazione che comunque si accompagna al 'rivedere' una drammaturgia in una nuova contingenza del suo farsi 'scena', in questa occasione risulta in un certo senso più chiara l'attenzione del drammaturgo rispetto alla funzione di mimesi della rappresentazione, cioè l'esplicitazione del suo essere finzione ma proprio per questo 'sincera', attenzione realizzata attraverso l'ulteriore dilatazione degli spazi, di consapevolezza critica, tra i diversi piani della narrazione scenica. Da una parte il piano narrativo della commedia, riproposto con quella fedeltà specifica della trascrizione o del travestimento scenico, ove attori e personaggio ripropongono modalità interpretative e attoriali che slittano a partire dall'attenzione alla rivisitazione della maschera seicentesca nella sua rigidità di ruolo, dall'altra il piano oscuro del sottotesto incardinato e rappresentato dall'Arpagone di Ermanna Montanari, significativamente sottratto, nel suo essere en travestì, ad ogni identificazione naturalistica, così da diventare articolazione scenica di una sorta di inconscio, o meglio sub-conscio, che sta appunto sotto e attraversa, decifrandolo per lo spettatore, il piano della narrazione. Significativo segno registico di tale distanza l'utilizzo alternato e contrapposto della scenografia delle luci che alterna la luminosità piena del piano narrativo con la sapiente oscurità che caratterizza la presenza, quasi 'ponderosa', di Arpagone. Esemplare, e ulteriormente affinata, al riguardo anche l'interpretazione di Ermanna che accentua con sapienza gli aspetti anti-naturalistici della sua espressione e presenza scenica, richiamando nella meccanicità della voce, comunque di grande mobilità ed espressività, e nei movimenti recitativi, nonché nello stesso rapporto esplicitato ed enfatizzato con la microfonatura, gli elementi estetici della “Ubermarionette” di Gordon Craig (“La supermarionetta non competerà con la vita – ma piuttosto andrà oltre”). Da ultimo il raffinato utilizzo, da parte di Marco Martinelli, della funzione del Deus ex machina  posto fuori scena quasi come una articolazione esplicita della funzione del pubblico, destinato a ricondurre a coerenza significativa i diversi piani del transito drammaturgico, oltre la stessa coerenza e concretezza 'esistenziale' della vicenda (<<abbiamo bisogno>>, dice Martinelli emergendo quasi dalla platea, <<di un miracolo al giorno>>) ma nel pieno rispetto di quella verosimiglianza, interna e coerente, che è, come detto, fondamento della mimesi teatrale. Evidente, credo, in proposito la riunificazione finale anche dell'aspetto scenografico ricondotto ad un comune contesto di luminosità. È all'interno di questi elementi di scrittura drammaturgica e scenica che si articolano con 'evidenza' gli elementi cognitivi e di significazione, che ruotano intorno al senso del denaro e del potere e ai rapporti di sottomissione o, specularmente, di liberazione che nel rapporto con denaro e potere si attivano e si evolvono, senza dimenticare le indubbie connessioni con la nostra contemporaneità. Un lavoro 'vivo', dunque, e del resto la reazione del pubblico è stata al riguardo esemplare, che dimostra tra l'altro una interna coerenza che ad esso attribuisce una forte autonomia di scrittura drammaurgica. Una prova di maturità dei drammaturghi e dell'intera compagnia, di cui la capacità di evolversi del testo scenico mantenendo quella che ho chiamato interna coerenza è ulteriore dimostrazione.