Il dramma del mese
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Fratelli di Valentina Diana
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Una storia di famiglia. Una specie di saga, irrisolta e fragile, come tutte le storie di famiglia. Lo sguardo dei fratelli (fratello M. e sorella B.) indaga una realtà che sottrae loro la possibilità di una comprensione univoca, una realtà che non si sottomette a uno sguardo condiviso. Entrambi lottano, a parole, per rimettere a posto qualcosa, per consegnarsi un ruolo pacificato all’interno di una storia di conflitto. Alla fine ciascuno dei due avrà disegnato il proprio percorso di esistenza, senza sapervi includere l’altro. Tuttavia questo sforzo, questo tentativo di incontro e di comprensione, sarà presente in germe, come una possibilità, come un’ipotesi di fratellanza: una vicinanza, una comunione, o qualcosa del genere, che unisce ma allo stesso tempo, con altrettanta forza, separa.
Valentina Diana
Quando ho letto FRATELLI ho avuto subito l’impressione che fosse un testo importante. Per Valentina prima di tutto, perché è un pezzo della sua storia, e poi perché racconta di una relazione complessa e particolare in modo disarmante, senza mezze misure. M. e B. dicono tutto, senza riserve. Dicono le cose buone e quelle cattive. Si espongono con il loro interlocutore (assente sulla scena) nella loro fragilità, senza per questo essere benevoli nei confronti delle fragilità altrui. In questo testo non c’è falsa pietà, non c’è un “perdono” per quello che gli altri hanno fatto di noi, nel male, o il riconoscimento o la gratitudine per ciò che è stato fatto di bene. Ci sono delle questioni, dei fatti, e su questi M. e B. si confrontano con i mezzi che hanno a disposizione. Prima di tutto quello della distanza temporale, che consente di poter guardare al proprio passato con sufficiente distacco. Mi sembra che avere il coraggio di pensare le proprie relazioni, a quello che abbiamo fatto e che abbiamo subito, diventi in alcuni momenti il centro attorno a cui ruota la nostra vita.
Lorenzo Fontana
Prodotto dall’Associazione 15febbraio, questo «sofferto e intenso testo» – come ha scritto Laura Bevione su “Hystrio”, n. 2, 2011 – che racconta una «complessa e dolorosa realtà familiare a cui si aggiunge il dato non secondario della non consanguineità di fratello e sorella», è andato in scena per la prima volta nella sua versione definitiva nel dicembre 2010. Interpreti Beatrice Schiros e Andrea Collavino, regia di Lorenzo Fontana, scene di Nicolas Bovey e luci di Cristian Zucaro.
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Valentina Diana (nella foto di Basso Cannarsa) è nata a Torino nel 1968. Attrice formatasi alla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, tra gli altri ha lavorato con artisti del calibro di Thierry Salmon, Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, Marco Baliani, Isabelle Pousseur, Elio De Capitani, Giorgio Barberio Corsetti, François Kahn, Gabriele Vacis, Pippo Delbono e Denis Marleau. Da molti anni si dedica prevalentemente alla scrittura come autrice e dramaturg. Con il dramma RICORDATI DI RICORDARE COSA? ha vinto il premio “Il centro del discorso” nel 2009, pubblicando la pièce l’anno seguente per Lupo editore. Nel 2013, invece, con LA BICICLETTA ROSSA si aggiudica la palma della miglior drammaturgia agli Eolo Awards, uno dei maggiori premi per il teatro ragazzi. Altri suoi scritti per la scena sono: 56-32-104, BBBtrombedelesignore.com, SWAN, LA COMITRAGEDIA TEATRALE, LA PALESTRA DELLA FELICITÀ e OPERA NAZIONALE COMBATTENTI. Ha pubblicato la raccolta di poesie TRE ORE DI NOTTE E UN PEZZO DEL MATTINO (Torino Poesia 2007); ulteriori suoi componimenti sono apparsi sulla rivista parigina “Les Citadelles”, nei due volumi bilingui italiano/inglese DOUBLE SKIN e nell’antologia BASTARDE SENZA GLORIA (Sartoria Utopia 2013). Il suo primo romanzo, SMAMMA, è uscito per Einaudi nel 2014; ed entro la fine del 2015, ne uscirà un secondo edito dalla stessa casa editrice torinese.
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4 di Marco Di Stefano
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Ho iniziato a scrivere 4 nel 2009. Il testo è nato all’interno di “Bancone di Prova”, gruppo di scrittura nato, cresciuto e morto a Milano. Tutto finisce; non per questo dobbiamo vestire a lutto. Anche perché quel gruppo qualche buon frutto lo ha generato. Per questo ci tengo a ringraziare i miei compagni di allora, senza i quali 4 non sarebbe nato e non avrebbe la forma attuale: Elisabetta Bocchino, Lorenzo Piccolo, Magdalena Barile, Alessandro Quattro, Alessandra Scotti, Gianluca De Col e Maria Antonia Pingitore. Qualcuno l’ho perso. Qualcuno mi è tuttora vicino. Ringrazio Teatro I che ha ospitato “Bancone di Prova” per più di una stagione e che ha reso possibile il nostro periodico incontro con il pubblico.
La prima versione di 4 è rimasta nel cassetto molto tempo. I fatti di quest'anno (2015) mi hanno spinto a completare il testo. I migranti trovati morti dopo estenuanti viaggi in camion non sono più una novità.
Ringrazio Damiano Pignedoli che di 4 ha curato la pubblicazione e che mi ha dato la possibilità di fare una redazione definitiva del lavoro.
Sul testo ho poco da dire, spero che parli per sé. È la storia di quattro migranti che cercano di passare la frontiera su un container. Che sia realistico o metaforico, sta a voi deciderlo, anche perché io non lo so. So solo di essere ossessionato da una domanda e che su questa domanda ho incentrato buona parte del mio lavoro: perché un essere umano – qualsiasi essere umano – non ha il diritto di viaggiare liberamente su tutto il globo terrestre?
Sono abituato a pensare che ognuno debba andare dove è in grado di arrivare. I confini mi mettono a disagio.
Guardando a ritroso, trovo in 4 tutti i semi che hanno portato alla nascita di PENTATEUCO, il progetto sulla migrazione al quale sto lavorando attualmente con la mia compagnia, La Confraternita del Chianti; ed è curioso che questa pubblicazione arrivi un mese dopo il debutto di GENESI, primo dei cinque spettacoli che ci siamo promessi di realizzare a partire da tale progetto.
Ma sicuramente non è un caso. Anche perché io non credo alle coincidenze.
Marco Di Stefano
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Marco Di Stefano. Regista e autore, nasce a Milano nel 1981. Diplomato in drammaturgia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e laureato in Teatro al DAMS di Bologna. Nel 2007 vince il premio ETI Nuove Sensibilità con il testo FALENE. I suoi testi e spettacoli sono stati tradotti e rappresentati in Italia, Svizzera, Regno Unito, Germania, Spagna, Cina e Romania. È fondatore e regista della compagnia La Confraternita del Chianti (www.laconfraternitadelchianti.eu), con cui ha prodotto le messinscene dei testi NON VOLTARTI INDIETRO (2013) e GENESI - PENTATEUCO #1 (2015) di Chiara Boscaro, più LA BOTTEGA DEL CAFFÈ da Carlo Goldoni (2015) e la performance LE SACRE DU PRINTEMPS (2012). Tra le sue regie: GLI STRANIERI dall’opera di Armin Greder per la produzione di Nudoecrudo Teatro (2014), MATTATOIO di cui ne ha scritto anche la drammaturgia (produzione Teatro della Cooperativa, 2011) e XX presentato in anteprima per Marathon of the Unexpected alla Biennale Danza di Venezia 2010. Ha scritto e diretto lo spettacolo IO SONO FIGLIO, una produzione Sanpapié del 2012: lavoro che, con le coreografie di Lara Guidetti, è inserito nel progetto internazionale Teatro Inestable ed è andato in scena in alcune delle principali città europee come Edimburgo, Valencia, Dresda, Bilbao ed è stato ospitato a Pechino per la sesta edizione delle Olimpiadi del Teatro dirette da Bob Wilson, Tadashi Suzuki e Theodoros Terzopoulos. Il testo di MATTATOIO è stato tradotto in rumeno (ABATOR) e ha debuttato nel 2014 al Teatrul Nottara di Bucarest con la regia di Madalina Turcanu. Come drammaturgo, Di Stefano partecipa inoltre a “Short Latitudes”: progetto di scambio tra drammaturgia italiana e britannica organizzato dal British Council. Come regista e autore ha collaborato al progetto “Working for Paradise” diretto da Matthias Langhoff e prodotto da Napoli Teatro Festival Italia e Heiner Müller Gesellschaft di Berlino. Ha pubblicato le pièce IO SONO FIGLIO e CHECKPOINT sulla collana spagnola “RED”, MATTATOIO sulla rivista italiana “Sipario” e il testo breve ICARUS all'interno del volume WORKING FOR PARADISE della collana “Theater der Zeit” di Berlino. Ha collaborato al libro LA VOCAZIONE TEATRALE, curato da Renata Molinari per le edizioni de Il Principe Costante di Milano (2006). Ha scritto e pubblicato due raccolte di poesie: SESSANTA LAME ALL’ORA e VERSIONE 2.0, rispettivamente nel 2006 e nel 2008 per i tipi de Il Filo di Viterbo e quelli di Tespi di Roma. Con La Confraternita del Chianti sta proseguendo a sviluppare il progetto internazionale PENTATEUCO mentre, con Chiara Boscaro, è curatore artistico della residenza teatrale Manifattura K (www.manifatturak.it).
A cura di Damiano Pignedoli
Libero nel Paese della Resistenza di Andrea Brunello
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Il Teatro è lo spazio delle domande, quasi mai quello delle riposte. Ho sempre pensato che scopo del Teatro fosse quello di suscitare la curiosità attorno a delle tematiche necessarie per chi le “racconta” perché diventino importanti per chi le “ascolta”. È così che ho sempre cercato di impostare il mio lavoro teatrale: cercando prima di tutto ciò che m’incuriosisce, ciò che mi sembra contraddittorio, ciò che non è ovvio (almeno per me).
In questo senso mi considero un Ricercatore, cioè colui che vive una condizione di inquietudine, che va verso un territorio al di fuori delle mappe. Questo è immediatamente ovvio nel mio lavoro di Teatro e Scienza, il progetto Jet Propulsion Theatre (JPT, in breve, www.jetpropulsiontheatre.com), con il continuo cercare di coniugare questi due mondi apparentemente distanti ma poi intimamente collegati dalla dimensione della Scoperta e della Meraviglia. Ed è così anche per il mio Teatro Civile: il quale non riguarda necessariamente i temi di pura cronaca e attualità, ma ha a che fare con la stimolazione del pensiero critico attraverso le grandi idee, le grandi storie e una sana ironia che si possono raccogliere sotto una sola parola: “Cultura”, civile di per sé.
LIBERO NEL PAESE DELLA RESISTENZA è figlio di questa pulsione. Libero è un ragazzo disabile, almeno per come concepiamo noi l’abilità, o la normalità. Libero disegna, disegna sempre perché questo è il suo modo di comunicare. Non parla, emette strani suoni invece di parole. Non guarda mai negli occhi le persone. Non gli piace essere toccato, da nessuno. Nemmeno da sua sorella. Ripete i suoni e i rumori di quello che gli sta attorno. È metodico, come possono esserlo quelli che amano i dettagli, quelli che godono nel ripetere le azioni per farle veramente proprie. Libero è autistico, anche se questa parola non viene mai usata in tutta la storia.
La pièce è un viaggio nel favoloso mondo di Libero durante gli anni del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale. Libero, che vive con la sua famiglia nel quartiere della Portèla a Trento, è una persona speciale e la gente che non lo conosce pensa che lui sia matto. Ma i suoi amici gli vogliono un gran bene. E lui li ricambia donandogli i suoi disegni. La sua è un’esistenza segnata dalla durezza di vivere in una famiglia comunista durante il periodo fascista, e questa cosa non risparmia lutto e dolore a nessuno. Ma lui, a differenza di tutti gli altri, è innocente, è ingenuo: è Libero, appunto.
Protagonisti del testo (e della sua messa in scena) sono proprio i disegni che Libero fa giovedì 2 Settembre 1943 seduto alla finestra della sua casa, quella che guarda verso sud, nel quartiere della Portèla a Trento. La sua è una corsa frenetica contro il tempo… dalle 6.20 fino alle 11.56 della mattina, in attesa che si scateni l’inferno del primo, devastante, brutale bombardamento americano su una città indifesa, impreparata, povera.
Il testo è una parabola universale dove incontriamo personaggi di tutte le estrazioni sociali a cominciare dalla famiglia di Libero: Cesare classe 1892 che emigra in Canada, Ferruccio classe 1895 che muore sul fronte della Galizia indossando l’odiata divisa austriaca, Ezechiele classe 1898 che ama Mussolini, Antonia classe 1900 l’unica sorella e suo marito Renato, organizzatore comunista. Poi ci sono Mamma Giustina e papà Fortunato. Sono personaggi tutti diversi e tutti accomunati da un pazzo e beffardo destino. Ci sono anche gli amici di Libero: Rosario il panettiere, Francesco il fruttivendolo, Don Luigi il parroco, Gino il pittore e La Giorgia che è la sua modella. Ma anche il conte Giannantonio, il dottore Mario, Gigino figlio di Cesare Battisti, sua madre Ernesta e la Tina, l’infermierina… di cui Libero si innamora perdutamente. Sullo sfondo c’è sempre Mussolini… dominante e comico, tragico e violento.
Ecco quindi una storia del secolo scorso che diventa contemporanea. Urgente, proprio oggi, allorché nuove guerre e nuovi “ismi” si presentano al nostro cospetto con la forza tragica dell’inevitabile. Il quartiere della Portèla, il mondo di Libero, è un microcosmo favoloso. È un quartiere antico, umido, muffoso, gonfio di umanità che il 2 Settembre 1943 viene cancellato dalle bombe di demolizione americane e con la devastazione di quelle bombe si apre per noi un momento di riflessione su quello che siamo, quello che potremmo essere, sullo spreco, sul superfluo e sul senso della nostra Esistenza. Tutto questo risulta particolarmente doloroso perché, nella pazzia delle ideologie in un assonnato quartiere di Trento che diventa il Paese della Resistenza, non siamo riusciti a proteggere un essere delicato e necessario come Libero.
Andrea Brunello
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La drammaturgia qui presentata è uno spettacolo andato in scena per la prima volta al Teatro Sociale di Trento il 14 dicembre 2013, con l’interpretazione solista dell’autore stesso, le luci di Paolo Dorigatti, la composizione artistica di Salvatore Crisà e la regia di Christian Di Domenico. Ogni informazione sulla tournée si trova nel sito www.arditodesio.org.
Andrea Brunello (nella foto di Monica Condini) è drammaturgo, attore e regista teatrale. Laureatosi in Fisica e Matematica presso la Cornell University di New York nel 1992 e conseguito il Ph.D. in Fisica Teorica presso la State University of New York at Stony Brook nel 1997, nel 2001 interrompe l’attività di ricercatore per dedicarsi a tempo pieno al Teatro: un’attività portata sempre avanti in parallelo, anche in precedenza. Ha frequentato corsi di recitazione e drammaturgia presso le scuole di teatro di Cornell University (1990-1992), State University of New York at Stony Brook (1992-1994) e Utah State University (1994-1999). Dal 2007 al 2010 ha studiato e si è diplomato alla scuola triennale “School After Theatre - advanced training program” condotta dal regista russo Jurij Alschitz e affiliata all’EATC/Russian Academy of Theatre Arts (GITIS) di Mosca. Fondatore e direttore artistico del Teatro Portland di Trento (www.teatroportland.it) – di cui dirige anche la scuola di teatro – e della Compagnia Arditodesìo (www.arditodesio.org), dal 2013 cura e dirige il progetto Jet Propulsion Theatre (JPT) per avvicinare il Teatro alla Scienza. Fra gli spettacoli più recenti della sua produzione, citiamo SLOI MACHINE (2005, vincitore del Festival di Resistenza - Premio Museo Cervi 2010, Gattatico, Reggio Emilia), STORIE DI UOMINI. UN ANNO SULL’ALTIPIANO (2011), LIBERO NEL PAESE DELLA RESISTENZA (2013, insignito della Menzione Speciale al Festival di Resistenza - Premio Museo Cervi 2014), più IL PRINCIPIO DELL’INCERTEZZA (2013) e TORNO INDIETRO E UCCIDO IL NONNO (2014) per il progetto JPT.
A cura di Damiano Pignedoli
Amore e anarchia di L.Dadina e L.Gambi
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi: nati nel centro storico di Ravenna, lui il 30 agosto del 1849, lei nella notte del 21 giugno del 1852. Da quasi cent’anni abitano – non visti – nella scuola di San Bartolo, frazione vicina al capoluogo. La loro adolescenza è attraversata da sconvolgimenti politici e umani: le imprese garibaldine, l’ideale repubblicano, l’Unità d’Italia, l’internazionalismo, segnano la crescita dei due ravennati.
Maria Luisa, detta Gigia, è sarta “...silenziosa, attenta, bravissima, con tutti quelli spilli tenuti fra le labbra e via via tolti per segnare i difetti, per stringere, per attillare… pronta a ubbedire, o meglio a rispettare il proprio lavoro di artigiana ineccepibile”, così la immagina Gianna Manzini nel romanzo dedicato al padre anarchico. Francesco, intelligente, sguardo mite con una luce di collera, di modi gentili e di briosa vivacità, lavora alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Si incontrano giovanissimi, si innamorano e si infiammano, senza possibilità di ripensamento, per l’idea dell’anarchia che guiderà le scelte e i pensieri di tutta la loro vita.
Tra militanza, fughe, confino e carcere, sono la coppia che accoglie gli amici anarchici nelle case sempre aperte di Firenze, Lugano, Buenos Aires, Londra. Primi fra tutti Andrea Costa, Anna Kuliscioff ed Errico Malatesta. Moriranno a Firenze: lei nel 1911, cieca e piegata nella salute; lui suicida nel 1917 in un boschetto alle Cascine.
Eppure la limpida anarchica, autrice del Manifesto a tutte le operaie d'Italia, e l’infaticabile organizzatore sono ancora insieme, giorno dopo giorno, in quella scuola. Lì, l’eco del mondo irrompe ogni mattina attraverso la rigenerante vitalità delle voci dei bambini. Ogni notte, invece, la coppia ripercorre senza posa le vicende di allora e quelle di adesso, in un dialogo ininterrotto e sempre vivo alla ricerca di risposte, e – forse – di domande ordinate in modo nuovo. Così, Gigia e Francesco continuano a discutere del sindacato dei panettieri di Buenos Aires e delle pagine arringanti de “El Obrero Panadero”, delle tetillas de monja, di libero amore, di libertà, di giustizia, del sacrificio per l’ideale; senza smettere di ascoltare i discorsi dei bambini, i suoni del paese e della strada, che da cent’anni accompagnano le loro giornate.
Laura Gambi e Luigi Dadina
Testo di delicato ardore e pregno di densi echi su interrogativi attualissimi, AMORE E ANARCHIA è nondimeno uno spettacolo del Teatro delle Albe e della Compagnia Drammatico-Vegetale di Ravenna, messo in scena dallo stesso Dadina che lo interpreta assieme a Michela Marangoni (produzione Ravenna Teatro). Scritto con la consulenza storica di Massimo Ortalli (archivio storico della FAI) e Cristina Valenti (Università di Bologna), è stato rappresentato per la prima volta il 3 ottobre 2014 allo spazio Vulkano, proprio nella località di San Bartolo; mentre l’8 febbraio 2015 torna in scena al Teatro Rosaspina Montescudo di Rimini. È prevista una lunga tournée nella stagione 2015-2016 che toccherà, tra le altre, le città di Bologna, Milano e Napoli. Materiali e informazioni riguardanti la realizzazione, le date e gli sviluppi di questo lavoro si trovano nel sito www.teatrodellealbe.com.
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Luigi Dadina fonda nel 1983, insieme a Marco Martinelli, Ermanna Montanari e Marcella Nonni, il Teatro delle Albe. Come attore partecipa a numerosi spettacoli della compagnia, scritti e diretti da Marco Martinelli: si ricordano MONDI PARALLELI (1983), EFFETTI RUSHMORE (1984), RUH, ROMAGNA PIÙ AFRICA UGUALE (1988), SIAMO ASINI O PEDANTI? (1989), BONIFICA (1989), LUNGA VITA ALL’ALBERO (1990), I REFRATTARI (1992), INCANTATI (1994), ALL’INFERNO! (1996), PERHINDÉRION (1998), BALDUS (2000), SALMAGUNDI (2004), LEBEN (2009) e, nel 2012, PANTANI per il quale è finalista al Premio Ubu come migliore attore non protagonista. Interpreta inoltre, sempre per la regia dallo stesso Martinelli, le messinscene dei testi SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE da Shakespeare (2002), STERMINIO di Werner Schwab (2006), STRANIERI di Antonio Tarantino (2006) e L’AVARO di Molière nella traduzione di Cesare Garboli (2010). Nel 1991, con la nascita di Ravenna Teatro, di cui è Presidente, prosegue il suo percorso teatrale anche in qualità di autore e regista. Insieme all’attore senegalese Mandiaye N’Diaye, dà vita a GRIOT FULÊR (1993), che riceve la menzione al Premio Nazionale Stregagatto. Nel 1996 mette in scena il lungo racconto NARRAZIONE DELLA PIANURA e nel 2001 AL PLACIDO DON, testo scritto con Renata Molinari. Idea inoltre alcuni progetti teatrali tra cui VOCI DELLA RESISTENZA e TREBBI NELLA PINETA DI CLASSE. Dal 1999, è guida a Lido Adriano del laboratorio della non-scuola del Teatro delle Albe.
Laura Gambi, laureata in Filosofia Teoretica, ha lavorato in servizi rivolti agli immigrati con i quali ha condiviso un intenso percorso di lavoro culturale. Ha pubblicato tra gli altri: I WOLOF DEL SENEGAL - LINGUA E CULTURA (L’Harmattan Italia, Torino, 1995); AWA CHE VIVE DUE VOLTE (Aiep editore, Repubblica di San Marino, 1998, ripubblicato da Elle Unità Multimedia); il romanzo LE STRADE DI LENA (Aiep editore, Repubblica di San Marino, 2005); IL PIENO E IL VUOTO: STORIE DI DONNE E UOMINI TRA L’EMILIA-ROMAGNA E L’ARGENTINA (Altritalie, Torino, 2008). Dal 1997 è presidente di Libra - Cooperativa Sociale di ricerca e intervento (www.cooplibra.it), per cui ha coordinato numerose attività sociali e culturali.
Oltre alla scrittura di AMORE E ANARCHIA, Laura Gambi e Luigi Dadina (nella foto di Davide Baldrati) hanno condiviso percorsi di ricerca, scrittura e creazione di spazi ed eventi. Insieme hanno ideato LE VIE DEI CANTI, progetto tra teatro, musica e letteratura rivolto alle comunità immigrate. Per lo spettacolo GRIOT FULÊR, la Gambi ha curato l’omonimo volume scritto da Dadina e Mandiaye N’Diaye (Guaraldi-Aiep, Repubblica di San Marino, 1994), dopo aver preso parte all’esperienza del Teatro delle Albe in Senegal. Insieme hanno scritto LIDO ADRIANO, PORTA D’ORIENTE (Danilo Montanari editore, Ravenna, 2008): narrazione polifonica della genesi e sviluppo di un paese nato sulla costa romagnola negli anni ’60 del secolo scorso, oggi abitato quasi esclusivamente da immigrati italiani e stranieri. Con il gruppo rap Il Lato Oscuro della Costa, hanno promosso nel 2009 la nascita del centro culturale Cisim di Lido Adriano, di cui Laura Gambi è direttrice artistica (www.ccisim.it).
A cura di Damiano Pignedoli