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Sessant'anni di onoratissima carriera di cui gli ultimi cinquanta quale punto di riferimento del teatro italiano: sto parlando di Glauco Mauri, tornato come ogni anno nella sua Pesaro (dove é nato a Pesaro il 1° ottobre 1930) con “Quello che prende gli schiaffi”, libera versione tratta dell’omonimo testo teatrale di Leonid Nikolaevič Andreev, di cui è regista e coprotagonista assieme a Roberto Sturno.
Mauri e Sturno festeggiano quest’anno i trenta anni della loro compagnia, un traguardo importante fatto di impegno e totale dedizione al teatro. In quest'arco di tempo hanno portato ovunque i grandi classici: Sofocle, Shakespeare, Goethe, Molière, ma anche Ionesco e Beckett, Pirandello e Goldoni, Dostoevskji e Brecht, Mamet e Schmitt e Shaffer.
Per l'anniversario della compagnia hanno scelto una “favola” del drammaturgo e giornalista Andreev, il principale esponente dell'espressionismo nella letteratura russa, protagonista della vita culturale del Paese negli Anni Venti del secolo scorso, gli anni tumultuosi che precedettero la Rivoluzione d’Ottobre.
Popolare anche all’estero, le sue opere furono tradotte in Italia anche da Piero Gobetti. Molti suoi lavori furono interpretati dai nostri maggiori  attori: da Zacconi alla Pavlova, dalle sorelle Gramatica a Ruggeri e in tempistica più recenti, da Romolo Valli, Valeria Moriconi ed Enrico Maria Salerno.
“Quello che prende gli schiaffi” fu scritto  tra l'agosto e il settembre  1915 e fu rappresentato nello stesso anno al Teatro d’Arte di Mosca ed al Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo, con la regia di N. V. Petrov che ne diresse un film l'anno successivo. L’opera racconta di un uomo disposto a tutto pur di fuggire dalla società in cui vive, una società abitata dall’egoismo, dall’indifferenza e dal denaro con cui tutto si compra, anche i sentimenti. Così deciderà di diventare un clown: potrà ridere del suo dolore ed urlare la sua ribellione. Sarà un uomo libero, anche di  sperare che un mondo migliore sia possibile. Un amaro colpo di scena lo sveglierà dal suo sogno, “anche se a noi resta un senso di gratitudine per tutte quelle persone che riescono a guardare alla vita con occhi diversi da quelli con cui siamo abituati a vivere”.
“La libera versione di questo testo – ha spiegato Mauri alla stampa – è motivata dal desiderio di mettere in  evidenza le inquietudini, i disagi e le ansie della nostra società: senza restare ingabbiati nell’ipocrisia del rispetto esasperato del testo ma con la sensibilità e la responsabilità dell’uomo di oggi. Non mancherà di commuovere e di toccare le corde della giustizia e dell’indignazione.”
“Il mio primo incontro con Leonid Nikolaevi Andreev – prosegue l'attore-   - avvenne nel 1955 quando, in seno alla Compagnia del Teatro di Via Manzoni di Milano, interpretai un piccolo ruolo in “Katerina Ivanovna”, una delle opere dello scrittore. Conobbi il tumultuoso mondo di Andreev durante gli anni dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma che mi permetteva, con la sua ricca biblioteca, di scoprire tutto quel teatro che nella mia Pesaro non avevo potuto conoscere. Mi ricordo che ne restai affascinato ma anche frastornato per la violenza e la disperazione che agitavano le sue opere”.
“In questi trent’anni qualche volta ho pensato a lui ma non sapevo come interpretare quel dolore pervaso di pessimismo e speranza, di crudeltà e di poesia nello stesso tempo- conclude Mauri- Sono passati molti anni  ed abbiamo messo in scena tanti spettacoli, attraverso autori diversissimi fra di loro, rimanendo sempre fedeli al nostro sentire: l’arte per la vita. In questo momento così difficile, abbiamo creduto giusto ed anche opportuno proporre una 'favola' che possa parlare ancora di umanità e di poesia ad una società che corre il rischio di inaridirsi sempre di più”.
Completano il cast dello spettacolo gli attori Leonardo Aloi, Barbara Begala, Marco Blanchi, Mauro Mandolini, Lucia Nicolini, Roberto Palermo, Marco Manfredi, Stefano Sartore e Paolo Benvenuto Vezzoso. Le scene sono firmate da Mauro Carosi, i costumi da Odette Nicoletti, le  musiche da Germano Mazzocchetti.
Grande il successo che Pesaro ha tributato “all'attore che tutti avremmo voluto diventare”, come ha scritto qualcuno.