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S.E. può stare per Sua Eminenza, per Sua Eccellenza, per Sua Emittenza; ma ad un diverso e più alto livello sta per Sergio Escobar, ineffabile direttore a pie’ di lista del Piccolo Teatro di Milano e d’Europa, con il quale ho avuto di recente un piccolo pubblico scazzo.

A livello di gossip, la cosa è presto narrata: io gli ho dato del puffone e dell’inccompetente, lui ha risposto dandomi del rompiscatole e del vigliacco. “Rompiscatole” posso anche capirlo: da quando è stato miracolato a direttore del Piccolo ho tentato una vota all’anno di avvicinarlo con lettere e telefonate (tutte inutili), l’ultima delle quali due anni prima. “Vigliacco” non l’ho capito, non essendolo né essendolo mai stato: ma questo non importa. L’elegante dibattito si è concluso con un S.E. che si allontana furente gridando “Io quello lo denuncio”.

Poi, in realtà, non è successo niente o quasi. L’Azzeccagarbugli qui S.E. si è rivolto, deve avergli onestamente fatto notare che una lettera ogni uno o due anni non poteva configurarsi come stalking, e in effetti la missiva che ho ricevuto da un autorevole studio legale si limitava a diffidarmi dal proseguire nelle molestie, allontanando nel tempo e nelle ipotesi l’idea di una vera e propria querela. Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Common Law e a suo tempo Giudice di Pace, so benissimo come una causa non conviene mai a nessuno; e quindi mi sono allineato alla richiesta, piegato alla diffida, e messo il cuore in pace.

Tuttavia, oltre ai titoli giuridici di cui sopra, io poseggo anche alcune benenmerenze (ove tali definir si vogliano) come uomo di teatro. Vivo nel teatro da una vita, sono traduttore e storico, autore in proprio, e ho insomma tutte le carte in regola per trattare di S.E. sotto il profilo teatrale, storico, pratico e critico. Ed è in questo ambito che appellandomi al diritto di critica, di libertà di parola e di pensiero (tutte cose sancite dalla Costituzione) spero non si voglia considerare come molestia la mia affermazione della inadeguatezza di S.E. al ruolo di direttore di un teatro pubblico. Il Piccolo Teatro gode di sovvenzioni principesche; il suo ufficio stampa ha il bilancio di una piccola (ma neanche tanto) casa editrice; costosi viaggi d’affari e d’informazione sono a larga sua disposizione.

Ma il suo direttore non ha mai pensato che un teatro pubblico debba avere anche quello che all’estero si chiama ufficdio di drammaturgia; cioè a dire un ufficio, un recapito, un buco che stia attento a quello che gli autori scrivono al giorno d’oggi e sull’oggi, e che riceva a valuti le opere che gli vengano inviate. L’affermazione si fonda su un fatto comprovabile: mi trovo ad avere scritto una commedia – “Tre sull’altalena” – che è stata tradotta in 24 lingue (exploit notevole per una lingua periferica quale l’italiano): che la critica ha giudicato un capolavoro (Chef d’oeuvre e Meisterwerk i termini concretamente usati) e che è correntemente rappresentata in tutto il mondo. Ho più volte mandato il testo a S.E. e al Piccolo in generale, ogni tanto ho sollecitato una risposta…. ma quello che ho ricavato è solo la definizione di rompiscatole.

Se il direttore di un teatro di Ankara o di Bogotà, avendo a un tiro di schioppo un autore (turco o colombiano) rappresentato e osannato in tutto il mondo, si comportasse con lui come S.E. si è comportato nei miei riguardi, diremmo probabilmente che non sa fare il suo mestiere. Vi immaginate l’allenatore di una squadra di calcio di serie C. che – avvertito che nell’oratorio a due passi da lì c’è un ragazzino che palleggia da padreterno – non si cura di andare a vederlo e di mandare qualcuno a vederlo? E’ possibile che il direttore del primo teatro pubblico italiano agisca a un livello di competenza inferiore a quello di un allenatore di serie C? O c’è dell’altro?