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Recensione da IL QUOTIDIANO DI BASILICATA E CALABRIA del 7 luglio 2013 
Predica ai gatti: della predica ha i controni, igatti tre, sono proiettati sullo sfondo in loop sin dall'inizio quando il pubblico di pochi eletti, illuminati da una piccola lampada da salotto borghese(l'unico piccolo vezzo di una scarna ma artistica platea)si sta sistemanda nella sala della sede dell' Officina Accademia Teatro; la scena è scura con al centro della scena due schermi uno sull'altro ma incrociati. Sulla sinistra un tapis roulant, posizionato in modo parallelo al telo sullo sfondo. Al lato opposto una telecamera puntata al volto di Pino Quartana vestito di nero che per un'ora e cinque minuti, a passo veloce, cammina su quel dispositivo da palestra. "Predica ai Gatti" scritta ed interpretata da Quartana è un pièce che difficilmente che difficilmente si può apprezzare al primo assaggio: l'attore lucano con questo esperimento teatrale, figlio di un laboratorio, fa coincidere diverse situazioni sensoriali. Andava quindi visto in tutte le repliche dal 15 al 30 giugno per capire affondo questo esperimento e lo straordinario lavoro che c'è dietro; per il suo valore emozionale invece è bastato probabilmente il primo respiro. E' uno di quei casi però, in cui un movimento ripetuto più o meno allo stesso modo per tutta la durata della pièce con sporadiche eccezioni, rende la scena paradossalmente statica e monotona. Questo se da una parte, vista la presentazione che dava l'idea di uno studio sui movimenti dei felini, sorprende; dall'altra rende i ragionamenti del pubblico più arrovellanti perché la dinamicità finisce per essere affidata al movimento degli occhi di chi assiste. Sulla scena difatti sono presenti tre fuochi: sullo sfondo come detto i gatti che festosi giocano, al centro i due schermi dove si vede solo il viso e la testa dell'attore lucano, e poi, scandita dai rumori dell'attrezzo ginnico, di profilo cìè l'attore in carne ed ossa. In questo groviglio di attenzioni ed azioni non necessariamente legate a livello percettivo, c'è il racconto di un viaggio: alcuni canti dell'Inferno dantesco. Questi ultimi di certo non scelti a caso; in una situazione così difficile, certamente per l'attore sotto uno sforzo fisico non indifferente, ma in modo particolare per il pubblico, le scelte dei versi danteschi cadono sui canti più famosi. Probabilmente per non sforzare troppo l'attenzione di chi è seduto in platea nel decifrare la poesia di Dante, possibile infatti l'aiuto di reminescenze scolastiche. C'è il primo canto dove i tre gatti diventano le tre fiere, il canto quinto quello di Paolo e Francesca, il canto 26esino quello di Ulisse e per concludere il canto trentatreesimo quello del conto Ugolino. Quartana continua a camminare velocemente sul tappeto mobile ma si muove poco e niente con il resto del corpo, la sua bella e profonda voce, invece, se pur parsimoniosa, si districa bene tra i personaggi e riesce anche a cantare dando luce al carattere popolare dell'opera dantesca e addirittura caricando alcuni versi di romanesco collegandosi con straordinaria arguzia all'allusività del testo verso la curia romana. Interessante nel complesso l'esperimento, emozionante vedere negli schermi la testa che si muoveva nel buio quasi si incamminasse come uno "spirto" nelle metafore dantesche. Certo non facile farsi trasportare nel viaggio da parte del pubblico: il provare pietà per l'amore tra Paolo e Francesca, l'accorgersi della sperduta paura di Dante nella selva oscura, il precipitare con Ulisse oltre le colonne d'Ercole e il provare orrore per il terribile supplizio del Conte Ugolino e dell'arcivescovo Ruggieri, non riesce. E' mancato per dirla con le parole di Dante "il parlare e lacrimar vedrai insieme"; più facile ammirare ancora una volta la poesia del sommo, sempre terribilmente con il vestito adatto a tutti i tempi. Ma bravo Quartana per il suo esperimento e per la sua straordinaria capacità recitativa. A margine la pièce lascia una considerazione porosa di filosofie: l'attore in scena a parte l'inizio e la fine, non si rivolge al pubblico ma alla telecamera che poi trasmette l'immagine sui monitor in platea. Ma il tutto avviene sotto gli occhi del pubblico. Una verità dinamica o una falsità superficiale, stanca che si tedia nel continuare ad esser tale. Davvero interessante.