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“Eduardo è il più straordinario rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare: dopo di lui il prevalere dell'aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare. Seguendo il suo insegnamento, cerco nel mio lavoro di non far mai prevalere il testo sull'interpretazione, né l'interpretazione sul testo. Il profondo silenzio che c'è tra  testo,  interpreti e pubblico va riempito di senso sera per sera, replica dopo replica”. Così Toni Servillo, regista e protagonista de “Le voci di dentro”, assieme al fratello Peppe (voce degli Avion Travel, per la prima volta a teatro), ha commentato alla stampa il suo approccio alla commedia di De Filippo, che ha inaugurato la stagione di prosa al “Rossini” di Pesaro.
Preceduto dalla fama che ha ormai oltrepassato i confini nazionali (dopo l'interpretazione  di “Il divo” e “La grande bellezza” ), Servillo ha affrontato per la seconda volta un testo di Eduardo, dieci anni dopo aver messo in scena “Sabato, domenica  e lunedì”.
Scritta nel 1948 in soli 7 giorni per esigenze contrattuali, “Le voci di dentro” ha per protagonista Alberto Saporito, un apparecchiatore di feste popolari che vive con il fratello Carlo e lo zio Nicola in un quartiere partenopeo. Una notte sogna che i vicini di casa, i Cammarata, uccidono l'amico Aniello Amitrano (scomparso qualche giorno prima) facendone scomparire il cadavere. Nel sogno  Alberto vede anche dove sono nascosti i documenti che  incastrano i vicini. La mattina seguente, fatta la denuncia in Questura, fa arrestare i Cammarata e assieme al portiere,  cerca i documenti in casa loro. Soltanto allora, non trovandoli,  si accorge all'improvviso di aver sognato tutto e comprende il terribile guaio in cui si é cacciato.
La storia procede: l’accusa di Alberto  fa emergere gli aspetti più vili e meschini dell’animo umano: invece di difendersi l’un l’altro, i Cammarata credono il delitto possibile ed uno alla volta, confessandosi con lui, si accusano di un reato che  non si è verificato ma che avrebbe comunque potuto accadere.  Non c’è sodalizio tra loro, ma neppure rispetto, considerazione e tantomeno affetto. Ognuno appare  solo contro tutti. Persino Carlo approfitta della situazione per prendere possesso dei pochi averi che condivide con il fratello. La delusione  di Alberto è grande ed il suo sfogo sulle miserie umane culminerà nella scena finale in cui i due fratelli, seduti su due sedie lontane, si guardano in silenzio. La scena dura diversi minuti: è un momento carico di tensione che potrebbe essere il preludio ad una parola o ad un qualsiasi gesto. Invece tutto ciò che ci restituisce è silenzio, un silenzio assordante che ci permette di sentire i movimenti dei loro organi interni.
Nella commedia, tra le più amare fra quelle scritte da Eduardo, domina il tema dell'ambiguità di rapporto tra sogno e realtà, mentre filo conduttore è comunque l'incomunicabilità, simboleggiata dallo zio Nicola che per disillusione delle cose umane, ha rinunciato a parlare e si esprime  in una specie di codice Morse dove i punti e le linee sono rappresentati da scoppi di petardi.
E' grande sulla scena, Servillo. L’attenzione del pubblico è sempre focalizzata su di lui, non si riesce a guardare altro, nonostante la bravura degli altri interpreti. Sold out e grande consenso in tutte e le tre serate (1-3 novembre).