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Il titolo ci promette uno spettacolo impegnato. Siamo pronti ad assistere a una pièce di cui conosciamo bene il contesto storico e abbiamo sicuramente un punto di vista ben delineato. È il 30 aprile del 1945 quando Adolf Hitler si suicida nel bunker, costruito sotto il palazzo della Cancelleria, insieme alla moglie Eva Braun.

L’autore Gianni Guardigli ci sorprende con un monologo inaspettato e trova un’interessante chiave di lettura. Il postino Frizt, personaggio immaginario a servizio del Fuhrer, uomo qualunque “armato” di violino e carico di rimorsi, è protagonista di un dramma universale. 
In scena, pochi elementi a replicare il bunker, luci a contrasto sui toni di verdi e rossi in sintonia con le musiche ossessive amplificano l’effetto. Bombardamenti, Inni e marce funeree fanno da eco all’animo afflitto del protagonista. Il testo, impegnativo, prevede numerosi cambi di registro, resi efficacemente da Francesco Branchetti. Un’ombra, Adolf Hitler, e un uomo, Frizt, sono personaggi antagonisti. Il carattere fiero e altezzoso del Capo di Stato Tedesco si spande tramite i folli discorsi e s’infrange violento contro il corpo emaciato di un uomo vittima di notti tormentate, trascorse a chiedersi se “avessi fatto, se avessi detto”.
Forse, se avesse consegnato quella lettera colma di esplosivo a Hitler, le cose sarebbero andate in modo diverso.
Una vittima o un carnefice, il confine è labile Una colpa, una responsabilità, una confessione? Niente di tutto questo o forse tutto. Il suo movimento sbilenco incede in una coltre di rassegnazione mista a rimorso. Frizt, ancora inconsapevole, si chiede se “questi ebrei” avranno fatto qualcosa per meritare una fine tanto amara. Lui è solo il postino, che colpa potrà avere mai un postino. Grosse scarpe e poca carne sono i tratti di un uomo la cui mente è colma di discorsi confusi. Incarnazione di un popolo che non è capace di capire, di vedere. Occhi e mente sigillati strumenti ignari di un progetto apocalittico.
L’interpretazione di Branchetti, sulle linee direttive di Isabella Giannone (co-regista insieme all’attore), è trascinante, incisiva, fervida. É palese uno studio approfondito nella fase di costruzione del personaggio. La regia predilige netti giochi di contrasto e ben si amalgama alle musiche, al disegno luci e alla scenografia.
La dimensione viziata, di clausura del bunker è una proiezione mentale. Un luogo intimo e oscuro, che dilatandosi, si propaga incessantemente fino a giungere a tutte le coscienze.
Oggi più che mai, considerando i nostri tempi, le nostre non-azioni, il nostro fortissimo disinteresse, l’individualismo spietato perpetrato senza rimorso, un pensiero spontaneo sovviene: Fritz è percepito tanto distante, eppure è fortemente vicino.

Teatro dei Conciatori  Roma
LA DISFATTA
(Gli ultimi giorni del bunker)
di Gianni Guardigli
con Francesco Branchetti
regia Francesco Branchetti e Isabella Giannone
musiche Pino Cangialosi
scene e costumi Clara Surro
disegno luci Flavio Mainella