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Non è il titolo di un film di Tarantino, anche se un po’ di pulp, in questa versione shakespeariana di Giulio Cesare firmata dal talentuoso Andrea Baracco, non manca. La compagnia di giovanissimi diretta dal regista formatosi alla Silvio d’Amico e incettatore di premi teatrali dai primi anni 2000, torna nella capitale al Teatro Vascello, sposando alla perfezione il suo palco sperimentalista e minimale. Un allestimento di grande originalità, dove esplode uno spirito artistico sensibile al riadattamento audace ma non esacerbante. Via il classico di costumi e scenografia stantie per lasciare spazio ad un testo dall’abito nuovo, ma dall’anima teatrale integra, dove Baracco e i suoi attori giocano fra l’assurdo e il profondissimo il gioco dell’assassinio. Tre porte celano e svelano con ritmo perfetto i personaggi in scena: il serafico Casca, Lucas Waldem Zanforlini, anche nei panni di un voyeuristico Ottaviano, il gollumesco-valdemortiano Cassio, inquietante e sinuoso come un serpente ed infine lui, Bruto, infantilmente incerto e poi forse recriminante, un bravissimo Giandomenico Cupaiolo, braccio estremo del triumvirato nero dei cesaricidi. Sarà lui a porre mano al costato amico di Cesare per infierire quelle infinite 23 pugnalate, qui straordinariamente evocate dalle linee sanguinolente di un gesso lungo la poltrona sfondata del potere, Bruto ma non solo Bruto, fedelmente complice di un esercito di presunti tirannicidi troppo indecisi sulle loro ragioni. Ma in ogni buon gioco di parti che si rispetti se l’eroe-tiranno deve morire, qualcuno lo seguirà nella tomba, secondo il copione immutabile della tragedia, ma qualcun altro forse ne potrà fagocitare la scomoda eredità. Eccolo lì allora il nostro minuscolo Marc’Antonio-Gabriele Portoghese, un ibrido fra Danny Zuco e Mercuzio, alto due spanne e con la camminata sbilenca, che guarda oltre i suoi ray-ban scuri quella Roma turpe e violenta pronto a redarguire con un balzo dalla tomba di Cesare. Già Cesare… Spettro gravoso il cui nome risuona inquieto nelle orecchie dei suoi assassini, del suo popolo, delle sue amanti. Troppo grande troppo potente troppo forte per riuscire a sopportarne la grazia e allora morte sia, sulle lacrime della sua Calpurnia (Ersilia Lombardo), ombra isterica e sterile che vaga sul ciglio estremo delle sue paure e di Porzia (Livia Castiglioni), moglie esclusa dalle trame della congiura, già troppo lontana dal cuore di Bruto per poterne condividere il peso. Cinque minuti di applausi sugli scaloni scuri del Vascello, di certo eco di quelli già ricevuti lungo lo stivale e durante il Globe to Globe di Londra per il quale la versione di Baracco e Manna è stata selezionata nel 2012 fra i migliori pezzi teatrali di Shakespeare, maestro del riadattamento a cui questa reinterpretazione moderna, un po’ Matrix un po’ Fuga da New York, dove tutti sono prigionieri di se stessi prim’ancora che del mondo, non sarebbe affatto dispiaciuta.