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C’è un albero a Baia: l’albero rovesciato. Cresce all’interno di una grotta con in rami che vanno verso il basso, e le radici in aria. “Anche al Teatro i”, al centro della scena, c’è un albero rovesciato, sospeso in aria su uno spazio circolare delimitato da frutti del desiderio, uno spazio in cui due fratelli giocano, si guardano si sfidano: Caino e Abele, ma potrebbero anche essere due fratelli qualsiasi, come ce ne sono tanti. L’omicidio è già avvenuto, la condanna divina pronunciata. Il lavoro è ispirato alla vicenda biblica di Caino e Abele, riportata nella Genesi (capitolo 4, versetto 1) per proporre una riflessione, sulla fratellanza, sul conflitto, sull’amore verso l’altro e sul sospetto che si insinua nell’uomo. Lo spettacolo costituisce la prima tappa del sodalizio artistico tra Gaetano Bruno e Francesco Villano, iniziato nel 2011: uno studio che continuerà prossimamente, puntando sempre verso una parola teatrale come ricerca sul movimento, sulla gestualità, principio poetico del loro percorso. Il testo ripercorre i momenti della vita dei due fratelli e il linguaggio che li accompagna: nell’infanzia è il corpo stesso a parlare, capriole, salti, spinte (efficace fisicità scenica da parte dei due attori), nell’adolescenza i due fratelli escono dalla grotta e cominciano a parlare, la parola diventa una sfida, una prova d’intelligenza; nella maturità si accumulano le delusioni, le amarezze e il dialogo si fa sempre più carico di rancore, tagliente e pericoloso, procede verso il baratro della gelosia, dell’invidia. Tutto cambia fra i due fratelli, quando uno dei due viene chiamato dal padre, il patto di complicità si indebolisce. È lì che si insinua il male per la prima volta nell’animo del fratello tradito: teme di aver perso per sempre l’amore del compagno di giochi, fino a quel momento ammirato e seguito fedelmente. L’insicurezza gli rende l’animo sempre più arido i suoi movimenti, i suoi gesti, i suoi sguardi sempre più diffidenti, l’albero della vita inaridisce i suoi rami diventano sempre più secchi e sterili, l’amore originale svilisce. Il confronto con il fratello, che prima era motivo di orgoglio e ammirazione, lo spinge alla diffidenza e lo induce a proiettare la propria invidia su di lui. La figura di Caino, in questa libera rilettura di Gaetano Bruno, diventa simbolo delle nostre paure, la parola scenica ritmata ed empatica ci attira in questi passaggi di vita, di umanità, si nasce, si cresce, si ama...si uccide, ci si dimentica chi si è stati e si rinasce nuovamente per riprovare le stesse paure, per ricadere negli stessi errori. Ma c’è una strada da seguire, oltre il cerchio delle paure, è nella risposta sospesa di Caino, che assume nuovo valore. «Sono forse io il custode di mio fratello?» In una società più umana ogni uomo sia custode del proprio fratello lo accolga, lo protegga, lo aiuti, al di là della paura della diversità, dell’altro, dello straniero. Bruno e Villano tratteggiano queste paure con abilità e intensità, abilmente immersi nell’espressione fisica, vocale emotiva.  Percorrono la scena a rovescio come quell’albero perché bisogna partire da ciò che sta sotto, dietro, dentro, per capire in che modo possiamo andare avanti.
Milano, Teatro i, 21 Marzo 2014