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Renato Sarti porta in scena La Gabbia, di Stefano Massini e aggiunge al testo alcuni inserti drammaturgici con l’intento di riflettere a distanza di anni sui fatti dolorosi della nostra storia; le sue motivazioni sono chiaramente espresse e tracciano una linea interpretativa del lavoro svolto: “Gli appartenenti alle varie organizzazioni armate erano la punta di un iceberg fatto di condivisioni, attrattive, affinità e simpatie. Non ci sono giustificazioni di sorta che tengano davanti alla violenza e al delitto, ma bisogna avere il coraggio di ammettere che le gambizzazioni, i ferimenti e le uccisioni che colpivano i ‘nemici del proletariato’ risentivano di un clima sociale infuocato (...) Padre Turoldo, il cardinale Martini e diversi uomini di Chiesa capirono, prima di altri, che bollare come mostri coloro che si erano macchiati di fatti di sangue non era di nessun aiuto alla comprensione dei fatti e non aiutava in alcun modo a superarli.” Una madre dopo undici anni di silenzio si reca in un carcere di massima sicurezza dove è rinchiusa la figlia ex brigatista. Perché, dopo tanti anni? Il loro è sempre stato un rapporto difficile, conflittuale, ma la madre ha un obiettivo preciso aiutare la figlia a comprenderla e a comprendersi, a perdonarsi. I dialoghi serrati, veloci, mostrano una difficoltà di comunicazione. La giovane affronta la madre nel parlatorio di un carcere ed ecco, due generazioni si confrontano, due mondi sociali, due culture, due donne entrambe in gabbia. La madre chiusa nella gabbia del proprio narcisismo di scrittrice affermata, la figlia nella gabbia di un ideologia politica fallimentare, quella della lotta armata. Due mondi separati, distanti; fra i quali scorre la parola come un fiume in piena. Dalla gabbia del carcere alla gabbia delle scelte. La gabbia dei ruoli: madre-figlia. La gabbia di frasi che giudicano e condannano senza conoscere, senza capire, di parole che risuonano come macigni. La gabbia di scelte sempre rimandate, la gabbia delle apparenze e dell’assenza di amore. La gabbia di sbarre reali e immaginarie. Sbarre esterne che corrispondono perfettamente a quelle interne, fuori e dentro. La gabbia dell’incomprensione. Federica Fabiani e Vincenza Pastore, in grado di rivestire i toni emotivi e le sfumature dei loro personaggi, tratteggiano i dialoghi intensi del testo, senza mai venir meno ai ritmi propri e specifici della scrittura di Stefano Massini. Una scrittura “chiara, tesa, di rara immediatezza espressiva, che riesce a darci anche visivamente il tormento dei personaggi con feroce immediatezza drammatica”. (Franco Quadri) La regia asciutta e minimalista di Sarti evidenzia e dà luce alla bellezza della parola scenica. Un ambiente freddo sterile, povero, che rivela nel finale, la ricchezza e la complessità dell’animo umano. La sua bellezza: l’estetica che produce l’etica. La bellezza di uno spettacolo teatrale risiede nella sua capacità di condurre lo spettatore in un luogo nuovo, inesplorato, in un altrove. In questo senso l’arte rapisce. La Gabbia di Sarti ci rapisce e ci stupisce, ci induce a riflettere sulle nostre personali gabbie. Su quelle sbarre grigie, serrande chiuse di menti che non sanno andare oltre il grigio, non sanno cercare un nuovo giorno, un nuovo racconto, una nuova storia.

LA GABBIA (figlia di notaio)
di Stefano Massini
Inserti drammaturgici, scene e regia Renato Sarti
Prima Nazionale
Milano, Teatro della Cooperativa, 29 Marzo 2014