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Braccia in aria e mani che si muovono a rilento, quasi a dare l’idea di due piccoli serpenti che strisciano adagio in uno spazio non definito ma che si sentono, si percepiscono nell’aria. È una similitudine questa, che definisce bene il personaggio diabolico di Anna Cappelli (Maria Paiato) in quanto questi viscidi animali sono il simbolo del male e della crudeltà. Una figura maligna, che ricorda un po’ le più celebri streghe della Walt Disney: Ursula la maga del mare (La Sirenetta) o  la perfida Crudelia De Mon (La carica dei 101) che rapisce i cuccioli di dalmata per ottenere la pelliccia. Anna Cappelli è una donna di ventisette anni – nonostante la Paiato non sia giovanissima (classe 61) riesce benissimo a mostrare l’anima del personaggio che interpreta –  di classe piccolo borghese, ossessionata dai beni materiali, tanto da farne la sua unica ragione di vita e tanto da farla arrivare all’esasperazione più totale. A differenza del testo originale di Annibale Ruccello del 1986, Pierpaolo Sepe (regista del dramma in questione) sceglie di sgomberare dalla scena qualsiasi oggetto, affidando all’attrice, in questo caso una delle più brave attrici Italiane del momento - tra i diversi premi che ha vinto, ricordiamo due Premi Ubu (2005-2006) e il premio Eleonora Duse come migliore attrice (2008-2009) - la responsabilità  di esprimere, attraverso i movimenti del corpo, la mimica facciale e soprattutto il tono della voce, tutte le peculiarità che fanno parte di questo mostro che abita il personaggio. È quindi la forza espressiva di Maria Paiato a donare alla pièce quell’aura di sacralità tale da rendere  il personaggio incomparabile. La protagonista del dramma porta in sé la miseria degli anni in cui divenne importante avere piuttosto che essere: Anna ha bisogno di avere tutto per se, di essere protagonista unica della sua vita; per questo non sopporta la sua famiglia che ha ceduto la sua stanza alla sorella, non sopporta la padrona di casa con i suoi gatti e l’odore di pesce bollito, non sopporta le colleghe pettegole, insomma lei odia tutti. Nel piccolo palco del teatro di Cascina, è l’enorme scritta “Anna Cappelli” in caratteri cubitali, bianco su nero a riempire la scena per l’intera durata dello spettacolo (1 h circa), come ad evidenziare le sue manie di grandezza, ma è dentro questo ossessivo desiderio di “essere grande” che si nasconde l’anima nera della donna provinciale, piena di insicurezze. Il diavolo-Anna veste bon ton: cappotto e vestito semplice giallo anni 60 e camicia da notte bianca, porta sempre con se una valigia, oggetto che acquista un valore semantico e rimanda alla sua instabilità mentale, una precarietà dovuta dalla sua fragilità e incapacità di adattarsi nella società. Più che amore (come molti hanno scritto) ciò che spinge Anna Cappelli a trasferirsi nella “reggia” di dodici stanze del ragioniere Tonino scarpa, è ancora una volta, la sua smania di potere. Un progetto di vita che Anna desiderava e fantasticava da sempre: sistemarsi con un uomo ricco, vivendo in una grande casa con cameriera e magari fare anche dei figli. Anna tocca con mano questa felicità, le sue preghiere di una vita sembrano aver funzionato, prova l’ebbrezza di sentirsi una donna appagata, che ha  ottenuto (in parte) ciò che desiderava, quando all’improvviso arriva di nuovo il buio nella sua vita. Tonino le comunica che si trasferirà in Sicilia per lavoro, senza di lei.  La diabolica protagonista adesso è in preda al panico, non può accettare questo, ha investito troppo tempo in questa storia, ci ha creduto, non può accettare di perdere Tonino, no. Assolutamente no: Tonino è suo, suo, solo suo. Ecco la tragica, agghiacciante registrazione della voce della Paiato che accompagna con i gesti della cattivissima Anna l’omicidio di Tonino ed il seguente pasto. La Cappelli mangia pezzo per pezzo le carni del ragioniere. Adesso è sola più che mai: piena e sazia di morte. Un pasto difficile da digerire.

Cascina, Città del Teatro, 11 Marzo 2014