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L'oltrepo torinese, e le ombre che declinano dalla collina fin sul parco del Valentino, come le rive del Rio della Plata, detto anche Mar per la sua grandezza. Questo può succedere al Torino Fringe Festival 2014 che propone questa quasi drammaturgia, che man mano muta in vera e propria drammaturgia, della parigina Compagnie des Oiseaux Migrants, appunto al Circolo Oltrepo.
La intensa e comunicativa, in mimica e gesti dall'armonia di antiche coreografie, Dolores Lago Azqueta dice in scena, e così traslandolo in una recitazione dai toni più che musicali “cantati”, il testo che lei stessa ha adattato di una conferenza tenuta da Federico Garcia Lorca, ad inizio anni trenta del 900, a Buenos Aires e Montevideo. Testo ovviamente in lingua con sopra-titoli in italiano, ma quasi non ce ne si accorge.
Tutta l'Europa mediterranea, soprattutto come immagine di sé, e le sue lontane figliolanze sudamericane ed i suo antenati antichi, è coinvolta non solo nella narrazione, ma nei suoni evocati dalla lingua forte e liricamente esplosiva del poeta spagnolo, tonalità che, ribaltate in musica e danze, irrompono sul piccolo palcoscenico e anche nella silenziosa traduzione dello spettatore, intimamente coinvolto, che tali suoni trasforma in familiari parentele dai mille legami mai dimenticati.
Lorca è come se invocasse lo sguardo dell'Europa sorella e del mondo intero sulla Spagna, sul suo essere, segnato da quell'amore imperituro, e accettato con sofferenza forse, per il fascino della morte come metafora di una vita che si produce intensa e si brucia sulle labbra del poeta e del cantore e nelle membra di ballerine perdute nei bassifondi di Cadice e Siviglia.
Suggestive le corrispondenze che ne nascono, in primo luogo la vicinanza essenziale con il processo della recitazione che nella lotta tra testo, personaggio e attore impone quasi sempre la morte “virtuale del soggetto” per liberare la vita e l'arte sul palcoscenico.
E' il duende, misterioso e spaventevole, quella forza che produce l'intensità della vera arte ma a prezzo del sacrificio dell'artista, quella forza bruciante che quasi combatte l'artista e lo annulla affinché nasca la sua arte, perché come dice lo stesso Lorca: “Per cercare il duende non v'è mappa né esercizio. Sappiamo solo che brucia il sangue come un topico di vetro, che strema, che rigetta tutta la geometria appresa, che frantuma gli stili, che si appoggia sul dolore umano che non ha consolazione.”
Nella febbricitante sintassi lirica di Lorca, il duende è scritto e concepito con l'iniziale minuscola, non ha dunque una personalità, come l'angelo o la musa suoi lontani figuranti, è una forza che circola e che sceglie con ostinata casualità ove e in chi manifestarsi per aprire l'incendio che produce la vera arte.
Per questo Lorca, nel suo amore per una Spagna che cerca su di sé lo sguardo del mondo, non lo descrive, ma lo suggerisce e così lo evoca.
La drammaturga ne ha colto lo spirito ed ha articolato una messa in scena a rotazione circolare, con un movimento centrifugo di avvicinamento del pubblico alla figura recitante, pubblico che diviene così compagno e complice, un movimento enfatizzato nella continua citazione e proposizione di immagini, quasi una collezione bibliograficamente corretta, che sembrano invitare il pubblico a precipitare in scena. Spettacolo dunque coerentemente concepito per luoghi piccoli, quasi musica da camera.
Ha coadiuvato la drammaturga narratrice, ben oltre la cura delle luci, Mario Tòmas Lopez primo interlocutore di una narrazione che si fa spettacolo multiforme, tra parola musica e danza solo immaginata ma inspiegabilmente evidente davanti ai nostri occhi.
Un successo meritato che, credo, si consoliderà, uno spettacolo che mi pare costituire un coerente sintagma nel discorso percepito in questa seconda edizione del Torino Fringe Festival, che vuole legare l'uno all'altro gli eventi così, forse, da costituire una narrazione comune.
Ricordiamo in particolare gli altri eventi visti al Circolo Oltrepo, sia “Zelda” della Piccola Compagnia della Magnolia che “Uccidete le madri” della Piccola Bottega delle Arti. Se nel primo spettacolo la morte è recuperata nell'arte narrativa che si fa carne e sangue, nel secondo è ribaltata in un discorso di comportamenti sociali che sono il segno universale di un mutamento di legami e prospettive di genere in cui però, tragicamente, la morte ha perso ogni orizzonte di liberazione.
Il festival si conclude oggi 11 maggio ed è stato un evento, a mio parere, di notevole interesse.