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Non ricordo bene quale nostro politico, qualche tempo fa, ha sostenuto, con leggerezza, che i giovani italiani sono un po’schizzinosi. Come a voler dire: hanno poca voglia di lavorare. Assistendo a diverse rappresentazioni, in questi anni ho avuto la possibilità di conoscere tanti giovani artisti, studiosi e lavoratori: giovani che s’impegnano che s’inventano un lavoro, un’opportunità, sicuramente, né schizzinosi né lavativi...Laura Tanzi è una di questi giovani: volenterosa, studiosa, appassionata di teatro. Ha tradotto, insieme a Ana Gárate, il testo di un autore statunitense, con tenacia ha deciso di rappresentarlo; impegnandosi anche in prima persona nella regia, sostenuta da Demetrio Triglia. Ci è riuscita con un buon risultato per una giovane compagnia. Non solo, è stata la prima rappresentazione assoluta in Europa dello spettacolo All Out, nella nuova versione più lunga scritta da John Rester Zodrow. L’autore era presente in sala, soddisfatto del lavoro compiuto dagli attori della compagnia Lyra Teatro. All Out è una commedia dissacrante che rappresenta un tipico game-show televisivo, uno show che potrebbe avere luogo in un futuro prossimo. Cinque concorrenti vengono selezionati tra il pubblico per partecipare al gioco: devono affrontare diverse prove per vincere i centomila dollari del premio finale. Pur di fare audience, i produttori dello show mettono i concorrenti davanti prove sempre più pericolose o degradanti, fino ad una spaventosa ultima prova mortale che li costringerà ad una scelta drammatica, tutto è in gioco: gli affetti più cari. Un testo interessante e originale che analizza le patologia della nostra società. Uno stile incalzante, dialoghi serrati e momenti lirici. Lo stile è l’uomo e John Rester con semplicità e umiltà racconta il suo lavoro. Undici attori in scena, con ruoli che si scompongono e si contraddicono, in una ambivalenza stilistica molto creativa: fuori e dentro lo spettacolo, finzione e realtà, commedia e tragedia, amore e odio, cinismo e passione, televisione e teatro. Dopo “Kvetch” di Steven Berkoff e “Chi ruba un piede è fortunato in amore” di Dario Fo, Lyra Teatro conclude con questo lavoro la “trilogia della menzogna”, uno studio drammaturgico sul tema della menzogna si spazia fra autori italiani e anglosassoni. L’autore John Rester Zodrow, romanziere, drammaturgo, regista e produttore, presente in sala, racconta come, negli anni, il suo testo si sia evoluto. La rappresentazione a cui abbiamo assistito avrebbe dovuto svolgersi per la prima volta a Broadway, questa volta l’Italia è arrivata prima, grazie al lavoro di due donne: Ana Gárate e Laura Tanzi che hanno tradotto il testo. Grazie alla passione dei componenti della compagnia e al loro desiderio di mettersi in gioco. Tanta audacia va premiata, l’autore l’ha fatto, anche con la sua presenza in sala. Le opere di Zodrow analizzano l’animo umano nella sa ambivalenza: egoismo, avidità, crudeltà, cinismo, ma anche eroismo, fratellanza, generosità. Il male ci accompagna sempre il libero arbitrio ci sostiene nelle scelte. Non mancano le analisi sulla nostra società dei consumi, sullo sfruttamento delle classi meno abbienti, sul cinismo dei potenti. Al termine della rappresentazione Zodrow ci regala queste riflessioni sul potere delle banche e delle multinazionali, il recente rapporto dell’Oxfam segnala l’ineguaglianza come il più grosso pericolo per il futuro del mondo: «Le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale». Il potere e i privilegi sono concentrati nelle mani di pochissimi. All Out, racconta anche tutto questo. Il disegno della regia chiude all’interno di una cornice bianca immacolata, gli avvenimenti narrati, all’esterno un video proietta immagini di una casa qualunque, padre, madre e figlio seduti sul divano, guardano il programma televisivo si appassionano alla vicenda con la solita perversione televisiva, ma rimangono comunque incuranti del dolore altrui. Nel monologhi dei personaggi il video mostra: gli occhi della verità. L’idea è sicuramente originale, ma quando a teatro s’introduce l’elemento multimediale è necessario che i due linguaggi in qualche modo dialoghino altrimenti il rischio è quello di rallentare i ritmi teatrali, moltiplicando i segni, lo spettacolo rischia di diventare meno fruibile e immediato. «Nella scatola magica del palcoscenico possono convivere tanti linguaggi ma è necessario che fra i diversi linguaggi vi sia coerenza, misura e comprensibilità, un amalgama credibile, equilibrato interessante. L’aspetto più complicato di un impianto multimediale applicato al teatro consiste, infatti nel suo coordinamento con la recitazione degli attori: il contributo umano e il sistema tecnologico devono incontrarsi in un discorso comune affrontato con mezzi diversi e tuttavia improntato al medesimo scopo tematico e artistico». (Cfr. Tiberia De Matteis, “La critica Teatrale”) La tecnologia ha una sua forza che in qualche modo tende a fagocitare l’elemento umano: il fragile “qui e ora” degli attori sul palcoscenico. I differenti inserti vanno inseriti in modo dialettico. La difficoltà è tutta qua, creare una dialettica fra i diversi linguaggi. Gli attori della compagnia, in buona sintonia fra loro, immersi nella storia erano vicini, nella gestualità e nell’espressione, alle sofferenze e ai dolori dei diversi personaggi. Disinvolti sulla scena in grado di rappresentare personaggi non facili: ambivalenti e contradditori. I ritmi ben sostenuti. Si poteva giocare maggiormente nella regia delle luci (che possono creare ulteriori effetti e sostengono la verità testuale) e lasciare maggior spazio alla musica che può essere parte integrante di uno spettacolo, determinando passaggi scenici che non mancano nel testo. Il finale con un canto libero ben interpretato senza accompagnamento, regala un bel momento di magia. Una buona sperimentazione e un buon lavoro di ricerca che speriamo duri negli anni successivi.

Milano, Teatro Caboto, 22 giugno 2014