Pin It

Mons, Belgio, capitale europea della cultura 2015, il luogo in cui provare ancora una volta a ritrovare le radici più profonde di una Europa che rischia di dimenticarsene tanto è impegnata a fare e disfare “economia e finanza”. Le radici comuni di una Europa molto più omogenea ed in sintonia di quanto appare oggi, travolta come pare essere da paure e diseguaglianze che cercano disperatamente e talora tragicamente una valvola di sfogo.
Un evento che, in questa cittadina immersa nella campagna vallona e così sintomaticamente vicina all’altra capitale europea, quella Bruxelles che sembra non vedere e non ascoltare, rimette al centro valori e sogni, volontà e prospettive raccolte sotto il duplice segno, come ricorda Yves Vasseur suo commissario, della cultura e della tecnologia per recuperare i traumi di una frattura che rischiamo di pagare salato. Un evento fortemente voluto.
Al centro, anche temporale, di Mons 2015 non poteva certo mancare il teatro, per la sua capacità di sondare e distillare, recuperare e promuovere, di essere insieme singolarità e comunità. Il “Festival du Carré” è dunque il luogo che, sotto la direzione artistica di Daniel Cordova, ne ha organizzato

la presenza e l’influenza dal 28 giugno fino all’ 11 luglio tra otto luoghi, 16 spettacoli e 10 concerti.
Le Albe di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari sono l’unica compagnia italiana invitata e ciò non meraviglia, non solo e non tanto per le qualità e la fama dell’ensemble, già presente in Belgio con altri suoi spettacoli prodotti dallo stesso Cordova, ma soprattutto, e lo si vedrà meglio più avanti, per la coerenza della sua attività e della sua intima finalità rispetto alla più ampie intenzionalità dell’evento Mons 2015 e, in particolare, del suo risvolto teatrale.
Marco ed Ermanna, con le Albe, sono dunque stati presenti a Mons il 2, 3 e 4 luglio con lo spettacolo “Rumore di Acque”, per l’occasione tradotto, insieme ad una più antica lettura drammatica di Daura e Arterio, da Jean Paul Manganaro e pubblicato dall’editore belga Lansman, cui ha fatto da significativo corollario una nuova rappresentazione dell’altrettanto noto “Eresia della Felicità”, entrambi raccolti sotto il comune titolo “Le c(h)oeur montois de Marco Martinelli” che gioca coi significati per accompagnarne e sottolinearne la più profonda significanza.
“Rumore di Acque” ha esordito a Ravenna Festival nel 2010 e da allora ha frequentato le piazze ed i teatri di mezzo mondo, tra Europa ed America, comunicando con essi ma, e questo è una sua straordinaria facoltà, anche apprendendo da essi e crescendo con i luoghi che visitava, ma rimanendo altrettanto straordinariamente coerente e “compatto”, sincero nel suo aprirsi e uguale a sé stesso nel mentre si “miscelava” e trasformava.
A Mons incontriamo dunque “Bruits d’eaux” ed il suo generale contabile (ricorda niente?), un contabile di morte e dei morti ormai innumerevoli del Mediterraneo dei migranti, per l’occasione interpretato dal bravo Karim Barras, che dà alla sua contabilità tonalità forse meno aggressive e quasi più sorde ed introflesse quasi che il dubbio, e la rabbia che lo veicola, dentro di lui avesse nel frattempo (dal primo spettacolo intendo) fatto molta strada. Il testo è quello, bellissimo, dall’esordio e la traduzione riesce a mantenerne, al di là delle diverse sfumature recitative, la coloritura paradossalmente lirica, che asseconda ed è assecondata dalle musiche dei fratelli Mancuso, ineludibili e che sembrano essere perennemente alla ricerca di quei ritmi ancestrali che hanno dato ritmo e profondità alla cultura che ci ostiniamo a chiamare europea.
Attorno alla drammaturgia però, il rinnovato impianto scenico ideato da Ermanna riesce ad allargare il suo ed il nostro sguardo dall’antro oscuro del generale ad un mondo articolato e composito che è insieme eco e cassa di risonanza, quasi un golfo mistico, di quelle parole e di quei numeri impressi a futura memoria sullo stesso sipario tagliafuoco.
È uno spazio scenico che organizza ed articola il coro dei sessantacinque cittadini di Mons, contemporaneamente giuria ed imputato, la vera innovazione di questa messa in scena, attraverso la quale è ancora più chiaro, se dubbio ci fosse, come la drammaturgia parla alle nostre coscienze singole e alla nostra coscienza collettiva, in cui oggi le prime sembrano colpevolmente nascondersi e giustificarsi.
Un coro, ben coordinato da Michela Marangoni, che dà dunque il segno di una relazione tra la capacità dell’arte e del teatro di scoperchiare e, talora, la resistenza della comunità ad elaborare. Non solo ma, ad un livello più profondo, nel coro si articola drammaturgicamente sia la progressiva individuazione del diverso sia, soprattutto, la sua inconfessata trasformazione in capro espiatorio in cui scaricare ed assolvere le pulsioni di morte che nella contemporaneità sembrano assediarci. Ieri ebrei e zingari, oggi profughi, migranti e ancora zingari.
È seguita, come detto, “Heresie du Bonheur” protagonisti quegli stessi cittadini di Mons, di ogni età ed estrazione, che sembravano rintracciare e recuperare nei versi Majakovskji, reinterpretati nel movimento drammaturgico e quasi coreutico di Marco Martinelli, un orizzonte ed una luminosità, oltre quello, attesa. Una sorta di catarsi che non dimentica dopo aver guardato dentro alle nostre profondità ma che cerca, da quelle, una strada.
Coerenza e metamorfosi, indagine e rinnovamento, queste credo le caratteristiche di un teatro, che sa coniugare l’inesperienza di cittadini comuni con la raffinatezza della ricerca musicale dei fratelli Mancuso, la sapienza recitativa con la curiosità, quindi a casa sua a Ravenna come a Mons capitale europea della cultura.
A sera, concerto e cena all’aperto con i Fratelli Mancuso, la cui musica raccoglie e rinnova, oltre la Sicilia, oltre l’Italia, la matrice sonora di noi stessi, quei ritmi di civiltà che dovrebbero continuare a segnare e guidare i gesti di una contemporaneità dimentica e per questo talora crudele.
Sogni ed orizzonti, dunque, e così per chi avesse la ventura di passare per Mons è opportuno non perdere “Clouds” la mostra delle nuvole (“la plus fantastique des machines à reves”) al centro della riscoperta dei giardini del “Chateau du Roeulx” nei pressi della cittadina.