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Il mestiere ovvero l’arte dell’attore come continua morte a sé stessi per rivivere nell’effimero dello spazio e del tempo del palcoscenico, spazio e tempo che proprio perché soggetti continuamente alla morte riscrivono paradossalmente l’eterno. Questo a mio avviso il senso intimo della drammaturgia di Danio Manfredini, che apre la stagione 2015 2016 di Fuori Luogo a La Spezia, una drammaturgia che rivisitando l’aristotelica “mimesi” della vita ne coglie il significato profondo, quell’essere il teatro effimero e convenzionale, appunto nelle sue ineludibili convenzioni spaziali e temporali, “finito” in sostanza e per questo significante oltre la stessa sua contingenza.

Manfredini lo fa, come nelle sue corde, partendo dal basso, da una condizione umana ed esistenziale, quella dell’attore, perennemente violentata e traslata nel personaggio che ne assorbe in continuazione energie e vitalità ma, insieme, paradossalmente esaltandole.
Il passaggio in scena di grandi ruoli del repertorio teatrale, da Shakespeare a Cechov a Bernhard, straordinariamente rivisitati e quasi svelati dalla sapienza attoriale di Manfredini, diventa dunque inaspettata metafora dell’esistenza, non solo di quella dell’attore o di Manfredini stesso, ma anche della nostra oltre la stessa funzione dello spettatore che articola e dà prospettiva nel qui e ora del palcoscenico alla sua performance.
Un esserci nel mondo, quello della nostra esistenza, in fondo caratterizzato anch’esso da un continuo indossare e dismettere maschere, talora imposte dalla Società talora auto-imposte difensivamente o anche per aggredire.
È quasi un accedere all’essenzialità, oltre il tempo, dell’esistere di ciascuno di noi attraverso la frequentazione profonda e talora angosciosa dell’effimero su cui, nell’idea di Danio Manfredini, si fonda inevitabilmente il teatro e la vita dell’attore.
Ecco allora che la modestia e la contingenza del singolo atto può farsi veicolo della magica metamorfosi attoriale, così recita il foglio di sala, metamorfosi che ne costituisce la profonda vocazione.
Ideazione e regia di Danio Manfredini, vede in scena con lo stesso Manfredini, capace di straordinarie riflessioni mimiche e recitative, un bravo Vincenzo Del Prete che adeguatamente ne sostiene la performance anche in qualità di aiuto regista.
Ma una parola in più merita il progetto musicale dello stesso Danio Manfredini insieme a Cristina Pavarotti e Massimo Neri, che costituisce uno straordinario ampliamento della prospettiva drammaturgica in quanto ne integra efficacemente l’orizzonte di senso sostenendone in ogni momento il percorso interpretativo. Manfredini si cimenta con la musica con esiti veramente sublimi ed il CD che, in un certo senso, ne è l’esito produttivo lo testimonia.
Il disegno luci è di Lucia Manghi e Luigi Biondi. Una produzione “La Corte Ospitale”.
Visto sabato 31 ottobre al Dialma Ruggero di La Spezia insieme ad un pubblico molto “convinto” che più volte ha richiamato i protagonisti in scena.
 
foto di Manuela Pellegrini