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Se c’è una caratteristica essenziale nella scrittura di Alberto Gozzi, questa, a mio avviso, dovrebbe essere individuata e riassunta nella leggerezza, cioè in quella capacità di aderire, con una sintassi semplice ma mai semplificata o semplificante, alle questioni che affronta e ai concetti che sviluppa quasi disegnandone, con delicatezza appunto, i profili senza deturparli o deformarli con la violenza del preconcetto. È una scrittura che ci accompagna e, pur così ricca di suggerimenti e di corrispondenze, sembra insieme a noi costruire un percorso di senso e di significato avvalendosi di un motore tanto potente quanto ormai desueto, l’immaginazione. “Eva futura” è la sua più recente drammaturgia, in scena al Teatro Astra di Torino per la Stagione di TPE Teatro Piemonte Europa, dall’8 al 13 dicembre. Più che liberamente tratta dall’omonimo romanzo ottocentesco

di Villiers De L’Isle Adam, di cui sembra rispettare con fedeltà sia il plot che a grandi linee lo sviluppo narrativo, appare appunto “immaginata” a partire da quello.
Riassumendo il ricco e potente Lord Ewald è innamorato di una donna bellissima ma, a suo dire, angosciosamente algida e lontana, la cantante Alicia Clary, che lo spinge alla disperazione fino al desiderio di suicidio. Lo scienziato Thomas Edison, qui più che scienziato mago, gli propone di sostituire l’amata con un “androide” in cui insufflare quelle qualità intellettuali e affettive di cui sarebbe priva. Allo spettatore ovviamente il seguito e l’esito.
Nato in ambiente simbolista nella Francia di fine ottocento il romanzo, pochissimo notato o amato alla sua uscita, è stato uno straordinario incubatore di suggestioni e suggerimenti che hanno attraversato tutto il novecento giungendo fino a noi, a partire da quel termine, “androide”, che sarà il centro della fantascienza contemporanea nelle sue più affascinanti e profonde declinazioni, fino a Philip K. Dick e a quel “Blade Runner” ispirato al suo Do Androids Dream of Electric Sheep?.
Gozzi dunque costruisce una drammaturgia che, all’apparenza aderendo quasi a calco a quell’immagine, ne seleziona sfumature ed espressioni, quelle espressioni e sfumature che più da vicino lo interessano, seleziona e poi rappresenta, quasi a discettarne insieme mentre la storia si sviluppa con ritmo e coerenza in scena.
Emerge l’interrogativo del femminile, il suo essere una domanda quasi per sua natura senza risposta, una domanda perennemente aperta che, se chiusa e definita, rischierebbe di perire nel vuoto e nell’assenza. Un interrogativo paradossalmente rappresentato dai tre personaggi femminili in scena, la serva, la cantante, e il daimon di Edison, ciascuna all’apparenza incastrata tra il livello basso ed il livello sublime della vita ma in continua reciproca suggestione.
Emerge anche il problema dell’identità profonda che, potendo essere costruita e destrutturata ma non potendo ancora essere creata dal nulla, sembra continuare a sfuggire fortunosamente e fortunatamente ad ogni tentativo di definitivo controllo.
La drammaturgia così, per la sua stessa natura e per la coerenza estetica che la guida, si sviluppa in una stratificazione e duplicazione multidisciplinare (molto interessante l’uso del croma key) e multisegnica, e su più piani sintattici ciascuno dei quali sembra costituire o costruire una via di fuga possibile, per il drammaturgo come per noi spettatori.
Tra le tante suggestioni di cui ci gratifica, non si può non ricordare Massimo Bontempelli, altro maestro della leggerezza e della immaginazione, che scrisse un suo romanzo “Eva Ultima”, ispirato alle, peraltro da lui ribaltate, intuizioni di Villiers e che con “Nostra Dea” cercò forse in scena di risolvere il quesito intorno alla identità e alla sua origine.
Una bella drammaturgia ed una prova interessante di Alberto Gozzi, se vogliamo analoga ad alcuni primi lavori di Edoardo Erba, sospesi in un indefinito piano di realtà.
La regia è ovviamente dello stesso Alberto Gozzi che ha integralmente curato l’intera messa in scena. Sul palcoscenico Andrea Fazzari, Eleni Molos, Anna Montalenti, Fiorenza Pieri e Rocco Rizzo, tutti bravi. Una produzione di Radiospazioteatro in collaborazione con TPE.
Gozzi, in un certo senso, esplora ancora una volta la via del “teatro da camera” ma la forza dello spettacolo, a mio avviso, meriterebbe anche spazi più ampi. Uno spettacolo comunque molto apprezzato e applaudito.