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Nebbia, suoni convulsi, ossessivi, disarmonici. Si percepisce appena un canto che tuttavia appare interrotto, disarticolato, come la vita di Marianna de Leyva, monaca di Monza, monaca per forza, con il nome di Suor Virginia Maria. Nebbia, suoni convulsi e fra la nebbia un viso: quello di Yvonne Capece. Un volto caravaggesco, intenso, occhi spalancati sul presente e sugli orrori del presente, quasi una Medusa contemporanea, gli occhi come un urlo, imprigionati e rafforzati nella parola scenica di Testori che accusa e dilania. La regia di questo lavoro, è di due belle promesse del teatro contemporaneo Yvonne Capece e Walter Cerrotta. La visione scenica affidata al rosso e al nero e alle luci di Anna Merlo rende l’esperienza scenica, dal punto di vista dello spettatore, un’esperienza vissuta in una prospettiva semiotica significativa, in cui le emozioni interagiscono cognitivamente,

l’impatto emotivo genera interesse e attenzione. Ho sentito un ragazzo che diceva ad un’amica al termine dello spettacolo: «Mi scarico la storia». Oggi i giovani le storie le “scaricano” prima di leggerle... il gioco di parole è interessante ma quando il teatro fa nascere in un giovane di circa vent’anni, il desiderio di conoscere un pezzo di storia, di letteratura, il teatro, allora, resiste, perché restituisce esperienze “semiotiche cognitive” (Marco De Marinis, Capire il Teatro, Bulzoni Editore, pag 357) ragione ed emozione. Le figure sceniche delineate dalla regia appaiono e scompaiono, grazie a sprazzi di luce che prendono forme diverse, le immagini sulla scena sono solo una parte della realtà, quel tanto che la debole illuminazione ci consente di vedere. Il resto rimane avvolto nell’oscurità, nel mistero, come tutta le storia degli uomini e delle donne prigionieri di scelte compiute da altri. La drammaticità e la parola musicale di Giovanni Testori risultano valorizzate e amplificate. Il buio scenico, addolcito dall’interpretazione profonda di Capece e Cerrotta, diventa una notte calata sull’umanità, dolore stesso per l’umanità. La Monaca di Monza di Giovanni Testori, rappresenta la denuncia dell’autore verso ogni privazione verso ogni costrizione, fede e costrizione come bestemmie contro ogni violenza. Marianna e il suo amante Gian Paolo Osio diventano eroi positivi perché vittime tragiche, sono personaggi esemplari di una tragedia, inseriti in un universo lacerato. Gian Paolo viene sacrificato, Marianna diviene narratore. Il lavoro di Testori, che trae spunto anche dagli atti processuali, si presenta come una partitura alterna, dal dramma ottocentesco, al flusso di coscienza, in cui il verbo lotta senza tregua contro la carne. L'attrice pronuncia parole pesanti come pietre, ma incapaci di abbattere un corpo reso indistruttibile dal desiderio e dalla tensione verso l’amore assoluto. Nel suo grido finale emerge la coincidenza tra Testori e il personaggio di Marianna: è un’implorazione a Cristo perché liberi l’individuo dalla carnalità che lo imprigiona. La scelta di un autore difficile come Giovanni Testori, ci dice Walter Cerrotta, nasce dal desiderio di dare grande risalto alla parola: una parola italiana, pura, letteraria ma dotata di una forza scenica straordinaria. Chi affronta Testori deve divenire parola. Lo spettacolo è un dialogo tra Suor Virginia e i principali artefici della sua monacazione forzata e del suo calvario dal carcere familiare a quello monastico fino a quello penale. Molti personaggi dialogano con Marianna tutti vivi nel corpo e nella voce di Walter Cerrotta che riesce a modulare con notevole intensità scenica di corpo e parola, tutte le diverse sfumature dei suoi personaggi, alter ego di Marianna, rende l’universo mentale fatto di ricordi e accuse, un universo contemporaneo. Sguardi e gesti appena accennati che nascondono mondi. Stasera abbiamo visto prendere forma due parole in scena: studio e fantasia. Studio perché Testori non si può affrontare senza studiare e fantasia perché i due giovani interpreti hanno saputo aggiungere qualcosa, qualcosa che resta. Da vedere, per capire.

Milano, Teatro Sala Fontana 9 aprile 2016

Foto di Mirko Mirabella