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Sola sul palcoscenico ma a casa sua. Giulia Lazzarini è in scena al Piccolo Teatro di via Rovello con Le parole di Rita, il monologo dedicato a Rita Levi Montalcini diretto da Valeria Patera, anche autrice di una drammaturgia di raccordo curata insieme ad Andrea Grignolio. Un “racconto teatrale per voce, immagini e musica” che partendo dalle lettere autografe della scienziata, si sofferma sulle retrovie della ricerca, fatte di laboratori di ripiego allestiti in camera da letto, di viaggi in nave alla volta del nuovo continente, di meritate pause in compagnia di Pavese, Klee, Matisse, Beethoven, Bach e Mozart, che qui ritorna con l'ouverture del Così fan tutte, affettuoso omaggio a Giorgio Strehler che vi stava lavorando poco prima di morire.

Dopo il debutto in anteprima al Teatro India di Roma è ora a Milano, nel suo teatro, con il suo pubblico di prima e di poi, che ieri l'ha accolta con una standing ovation di dieci minuti. Giulia Lazzarini attraversa incolume le generazioni e le fa innamorare del teatro per sempre.

Forse sì, è proprio come una scienziata che osserva al microscopio una realtà infinitesimale e poi la ingrandisce anche per noi, per spiegarcela meglio: lei, minuta, fragile, lieve, si inoltra nell'anima dei personaggi, ne scruta i caratteri, ne ascolta la voce e i battiti del cuore. E poi ce li racconta con piccoli segni nitidi e precisi- un'intonazione, un cenno del capo, uno sguardo, un passo accennato- che subito diventano immensi, scolpiti per sempre nella nostra memoria.

Chi può dimenticare la zeta di Gasparina, che vezzosa così non l'ha fatta nessuno, o l'ombrellino di Winnie che la faceva volare nonostante la gravità e la montagna di terra che voleva inghiottirsela? Oppure l'espressione compresa del volto e quella dolcezza estenuata che con un flebile gesto della mano avvertiva la nipote di una desinenza sbagliata nel film Mia madre di Nanni Moretti?

1) Signora Lazzarini, in questa intervista sul teatro di parola, mi concedo una licenza e comincio dal cinema. Con Una madre ha vinto il David di Donatello. Chi la segue a teatro non può che dire 'era ora'. Era ora che il cinema si accorgesse di Giulia Lazzarini.

R) Sono stata felice di interpretare quel ruolo, l'ho aspettato, e mi piace il cinema di Nanni Moretti. E' giusto che il cinema guardi al teatro. Ora si cominciano a vedere dinuovo gli attori di prosa recitare nel cinema (e nomina Massimo De Francovich, altro grande di cui il cinema ha fatto bene ad accorgersi ndr). Recentemente ho fatto anche il ruolo di una milanesina che mi ha molto divertito nel film per la tv su Lea Garofalo diretto da Marco Tullio Giordana, con cui avevo già lavorato in Romanzo di una strage nel 2012. Io in verità ho frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia ma il senso teatrale era insito in me e si è manifestato subito in modo chiaro.

2) All'inizio della sua carriera ha interpretato molto teatro per la televisione. Come era affrontato il teatro dal piccolo schermo?

R) In modo molto diverso da oggi. Le commedie in tv erano un'espressione nuova, a metà tra il cinema e il teatro, una sorta di ibrido. Allora si recitava negli studi televisivi con un tracciato a terra, ma senza pubblico né palcoscenico, e quindi senza la quarta parete. E il modo di recitare non doveva superare la ribalta né essere troppo concentrato sui primi piani come il cinema in cui può bastare uno sguardo per esprimere una condizione. Inoltre non c'erano le sceneggiature e si metteva in scena il repertorio che poi lentamente è andato scemando. Erano gli anni cinquanta e in teatro si cominciava invece a buttare un occhio su forme di drammaturgia più avanzate. In televisione bisognava imparare tutto a memoria e si recitava in diretta, non esistevano le registrazioni, quindi non era possibile sbagliare. In teatro invece c'era la cupoletta del suggeritore che per gli attori era una sicurezza.

3) A proposito del suggeritore mi viene in mente la tirata di Pirandello ne I sei personaggi : qual è la sua posizione nel merito?

R) Una volta il suggeritore era fondamentale perché si facevano tanti spettacoli in una sola stagione. Con Ernesto Calindri facemmo otto commedie in una stagione: di giorno si studiavano le nuove e di sera si andava in scena con quella in corso. Ricordo il suggeritore della Compagnia dei Giovani che era bravissimo: conosceva a memoria l'intero copione e le intonazioni di tutti. Aveva un orecchio assoluto e un occhio attentissimo e si accorgeva immediatamente se avevi un vuoto di memoria. Al Piccolo invece Strehler aveva abolito il suggeritore in buca già nel '47 perché con le sue scenografie aveva sfondato la quarta parete. Però lo aveva mantenuto per aiutare gli attori a imparare la parte, come una specie di coach, e in prova era utilissimo perché ti permetteva di non interrompere il flusso di pensiero e di memoria, di non perdere la concentrazione. Adesso quel ruolo si è perduto ed è un vero peccato. E' stata ritenuta una spesa inutile, invece sarebbe più che necessaria.

4) Veniamo alla parola, anzi a quello che resta della parola nel teatro di oggi. Luca Ronconi nel presentare Lehman Trilogy parlava della necessità di un “ritorno del teatro di parola come lingua, significato, appartenenza”. Cosa pensa di certo teatro che da una parte sembra avere rinunciato alla parola, dall'altra la maltratta, la banalizza, la riduce a chiacchiera quotidiana?

R) Penso che accanto a una pretesa onesta di rinnovare qualcosa in cui si crede e di abbattere qualcosa in cui invece non si crede ci siano anche tante operazioni che lasciano a desiderare, provocazioni che non mi convincono. Io ho una storia lunga e ho assistito a diverse fasi di svolta e cambiamento: il periodo gestuale, Grotowski, Barba e i grandi che sono stati veramente innovativi. Tra questi Luca Ronconi che ha creato un teatro che alla parola credeva in modo assoluto e il suo ultimo lavoro non è che la conferma. Oggigiorno bisogna capire cosa si intende per parola. Io credo che la parola possieda innanzitutto un suo significato e che si debba restituirglielo. Bisogna sfatare il vuoto della parola. La nostra lingua si sta man mano esaurendo anche a causa di parole di importazione sempre più diffuse in ambito sociale, quotidiano. Ma il teatro e la poesia hanno il compito di elevare la parola oltre la quotidianità e la cronaca dandole un peso, un senso e un valore ulteriore. Oggi invece ha preso piede una drammaturgia esplicita, cruda, che ha perso l'epicità della parola e la capacità di dire e rappresentare qualcosa oltre se stessa.

5) Con Ronconi ha lavorato ne Il ventaglio di Goldoni dove ha interpretato la signora Geltruda. Che incontro è stato dopo una lunga carriera nel solco di Strehler?

R) Un incontro bello ma non facile. Ronconi non era un uomo facile e nemmeno Strehler lo era ma in modo diverso. Per Luca il teatro era il suo giocattolo meraviglioso e il pubblico non era il suo primo pensiero. Mi raccontò un aneddoto molto significativo di quello che sarebbe stato il suo rapporto con il pubblico. Era piccolo e giocava con le marionette sul davanzale della finestra di casa come se fosse il suo palcoscenico e la gente si fermava a guardare ma pare che la madre lo avesse sgridato per questo. Ecco, io penso che quello alla finestra sia stato il primo segno del suo approccio con il pubblico, sempre un po' riparato, arretrato.
Per Strehler invece il teatro aveva una funzione sociale, politica, il suo era il teatro della città, e il rapporto con il pubblico era fondamentale. Per questo ha messo in scena Brecht tralasciando Amleto, per esempio.

6) Ecco appunto, i Brecht di Strehler, il teatro epico.

R) Il grande insegnamento di cosa fosse il teatro epico mi è arrivato con il Galileo. Lì c'era il massimo dell'epicità. Tolto il realismo, tolta la prima persona, tutto veniva rappresentato dagli attori. In verità il realismo c'era ma era epico, rappresentato. L'applicazione del realismo epico agli altri lavori, ai Pirandello, Goldoni, Cechov, è venuta di conseguenza.

7) Mi può fare un esempio, magari a proposito del Giardino dei ciliegi, dove interpretava Varja?

R) Nel Giardino di Cechov ci sono tre scatole. Nella prima c'è la storia piccola, personale di Ljuba. Questa scatola trova posto nella seconda, che è il momento storico in cui la sua storia viene vissuta. La terza scatola siamo noi che riceviamo e interpretiamo, oggi, quella determinata storia con il nostro senso critico. E' la scatola dell'attualità che non significa indossare i costumi di oggi ma dipende dal modo in cui si porta il pubblico a capire la storia. Le idee nascono dal testo, non da un'estetica esteriore, precostituita. A volte invece ho l'impressione che la ricerca di novità sia fine a se stessa, il nuovo per il nuovo, senza una vera necessità.

8) Veniamo ai memorabili ruoli goldoniani interpretati con Strehler: Clarice de L'Arlecchino, uno spettacolo che ha fatto il giro del mondo, e Gasparina de Il campiello.

R) Dell'Arlecchino ho fatto tre edizioni, nel 50, nel 60 e nell'87, e poi ancora una più tardi, quella che ho amato di più, che aveva dentro quella malinconia che Strehler voleva. La Clarice un po' invecchiata ma fedele al ruolo, con la stessa ironia che poteva avere una compagnia di comici di una volta quando si accompagnavano i ruoli fino alla fine della vita. Gli spettacoli erano scritti e costruiti secondo una distribuzione precisa: c'erano l'attrice giovane, la morosa, l'attor giovane, l'antagonista, il primo attore, la prima attrice, la seconda donna ...

9) Io non dimenticherò mai la nevicata de Il campiello, una nevicata inimitabile, e quella zeta di Gasparina, deliziosa.

R) Infatti quello non era realismo ma quotidiano elevato a poetico. E quella zeta non era un difetto di pronuncia ma il suo modo di differenziarsi dai popolani, più rozzi, che dicevano, per esempio, Venessia. Gasparina non si sa da dove venisse e la sua zeta che metteva anche dove non c'era, era un vezzo molto tenero, di difesa, non altezzoso. Una specie di birignao che la distingueva dagli altri, lei con le scarpine, loro con gli zoccoli, lei l'intellettuale che sapeva leggere, loro gli ignoranti. Lei da una parte, il popolo dall'altra: felice, allegro, appassionato con cui lei, che non era nulla ma voleva essere tutto, non poteva socializzare.

10) A proposito di birignao e di inflessioni dialettali, ricordo che anche la Sgricia de I giganti della montagna aveva un accento particolare.

R) Quando abbiamo incominciato a provare i Giganti io facevo proprio la Gasparina, quindi in prova una vecchia centenaria e in scena una giovane donna. Allora chiesi a Strehler di poterla appoggiare come fosse un ex voto, essendo un personaggio surreale che contiene tutto Pirandello, superstizione, paura. Così la Sgricia è nata con un appoggio, una cadenza che non era né siciliano né calabrese, ma che la rendeva personaggio. Il dialetto è un grande appoggio nella costruzione di un personaggio, mentre l'italiano a volte rischia di diventare scolastico, anonimo. Strehler diceva:”Se non ti riesce di catturare lo spirito di un personaggio, di una frase, di una battuta, pensalo prima nel tuo dialetto”.

11) Veniamo ad Ariel de La tempesta shakespeariana: un archetipo con cui tutti gli Ariel a venire non possono non fare i conti.

R) Nella memoria è rimasto il volo che era realizzato con un cavo solo. Strehler non era alla ricerca di un effetto virtuosistico ma voleva innestare il volo nel racconto di Shakespeare. Il volo di Ariel è il volo di fantasia di cui si serve Prospero per far naufragare i nemici. Ariel è un'emanazione di Prospero, come lo è Caliban: l'anima bianca e l'anima nera, la poesia e la brutalità. Strehler diceva 'vorrei che Ariel non esistesse, che fosse dentro una pallina d'aria da cui escono due manine e due piedini'. Doveva essere libero di muoversi in tutte le direzioni e il cavo unico di acciaio, a cui ero legata con un gancio, consentiva il movimento. Ma mentre il gancio era dissimulato dalla luce, meravigliosa, il cavo è stato incorporato diventando il guinzaglio di Prospero, e ha acquistato una dimensione poetica.

12) Di archetipo in archetipo, arriviamo a Winnie di Giorni Felici.

R) Infatti Winnie è seguito a ruota e io mi sono ritrovata da volatile a sommersa. Due sensazioni estreme, pericolosa la prima, sgradevole la seconda, perché quando sei dentro la sabbia fino alla testa non sai più dove sia la destra e la sinistra, perdi la cognizione dello spazio.

13) L'impressione però non era di soffocamento ma di leggerezza.

R) Strehler, oltre Beckett, ha voluto muovere la staticità di Winnie animandola di uno spirito di ribellione, di non accettazione della realtà.

14) Quali sono state le indicazioni di interpretazione?

R) Mi ha detto subito 'non puoi stare zitta, se non parli stai sotto'. Le parole devono rotolare, e così i pensieri, le cose, le sensazioni. Era un'opposizione continua tra sopra e sotto, ma guidata da una lettura beckettiana non completamente negativa. Perché l'umanità non è alla fine: l'umanità è quasi alla fine e in questo 'quasi' c'è tutta la drammaticità di Giorni felici. Ma questo significa che Winnie non si può uccidere. E la pistola che non è stata usata in tempo (quando aveva le mani) ormai non serve più. L'uomo non scompare ma resta sospeso. D'altra parte anche noi, oggi, diciamo 'siamo sull'orlo del baratro. Ma sull'orlo, appunto. E con questo barlume di ottimismo Strehler mi ha chiesto di cantare la canzone da La vedova allegra come se fosse l'Internazionale, in contrapposizione con il martellare del tempo.

15) E dal barlume di ottimismo passiamo alla tensione verso l'alto, verso la liberazione, la conquista, e arriviamo a Faust. Il Faust di Goethe.

R) Faust è nato con la scuola del Piccolo. Alcune allieve interpretavano Margherita giovane, io Margherita in carcere. Un personaggio che parlava moltissimo, in questo caso fatto al leggio, a cui sono state recuperate anche le battute di Faust. Fu un'idea di Strehler e per me una grande palestra per i futuri monologhi. Si trattava di dare voce a più personaggi senza cercare l'identificazione, entrando e uscendo epicamente.
Un procedimento che ha caratterizzato sia questo recente lavoro sulla Montalcini, sia Muri – Prima e dopo Basaglia, nato da un'intervista di Renato Sarti a un'infermiera dell'ospedale psichiatrico di Trieste.