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Sette ragazzini in scena, dagli otto ai tredici anni, impegnati in uno spettacolo 'adulto', non si sono mai visti. Invece gli attori diretti da Milo Rau nel suo testo Five easy pieces, che ha debuttato giovedì 15 settembre in prima nazionale per Short Theatre 11, sono non solo disciplinati e seri come professionisti consumati ma mostrano per la recitazione un talento non comune. Lo si evince innanzitutto dai primi piani che vengono restituiti su un video dalla camera a vista, in cui appaiono assorti, molto compresi nel ruolo, la memoria e le relazioni ben definite. Si tratta di uno spettacolo-esperimento in cui il regista svizzero esponente di punta del nuovo teatro politico (cito Hate radio sul genocidio in Ruanda e

Breivik’s statement sulla strage di Utoya) ha voluto raccontare la storia di Marc Dutroux, il serial killer belga soprannominato il mostro di Marcinelle che dall'85 al '96 ha sequestrato e seviziato sei giovanissime ragazze, due delle quali, bambine, vennero lasciate morire di stenti.
E per farlo Rau ha scelto una compagnia di under tredici formata da cinque maschi e due femmine, probabilmente reclutati attraverso un'amichevole audizione che viene rappresentata a inizio spettacolo.
Ti piacciono gli animali? Qual è il tuo preferito? Cos'è la libertà? Cosa vuoi fare da grande? Vuoi fare l'attore? Che genere di attore? Faresti qualunque cosa per il teatro? Domande che preludono alla distribuzione dei ruoli, non tutte prive di risvolti morbosi, per sondare determinazione e resistenza.
Mostraci come tossivi quando eri malato. Facci vedere come balli sulla musica di Eric Satie. Chi è questo uomo?
Era l' 'assassino dei bambini' e i piccoli attori lo identificano subito.
Lo spettacolo avanza attraverso i cinque brevi atti del titolo che mettono in campo le relazioni di chi è stato diversamente legato al fatto di cronaca, ma da questo si emancipa per investigare un'emotività meno ovvia, di cui i ragazzini si fanno interpreti e portatori. Un'emotività laterale, inscritta in limiti naturali e fisiologici che invitano a ripensare metodi e criteri di comunicazione, familiare, scolastica e soprattutto mediatica.
Chiamati a riprodurre sul palco, a sua volta suddiviso in tanti piccoli set, le scene reali che scorrono sul video, i sette recitano il ruolo dei grandi ma anche i contenziosi che possono nascere tra loro, e che vengono immancabilmente sedati da un rimprovero in codice.
Tutto, naturalmente, secondo copione.
Ma è quando la camera si dirige su di loro, proiettando sul video le scene in primo piano, che salta agli occhi una spudorata perizia, irresistibile.
Il poliziotto, i due genitori a cui viene comunicata la morte della figlia, il testimone al quale il regista chiede se riesce a piangere realmente, rinnovando la consegna alla sua risposta negativa, sono momenti che non dimentichiamo.
Così chiari e precisi nel lasciar trasparire a comando stati d'animo adulti, così puntuali nel gestire reazioni e sollecitazioni, che nemmeno occorreva sacrificarsi ai sottotitoli. Già, perché in scena si recitava in fiammingo.