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Helen e Danny cenano nella loro accogliente casetta, con scambi di tenerezze e sguardi d’amore. Improvvisamente irrompe il fratello di Helen, Liam, completamente coperto di sangue. Racconta di aver trovato in strada un ragazzo ferito, svenuto, e di aver cercato invano di soccorrerlo. Al Teatro Elfo Puccini di Milano (corso Buenos Aires 33) va in scena fino al 30 ottobre il capolavoro di Dennis Kelly, “Orphans”, per la regia di Tommaso Pitta, un sofisticato gioco delle parti in cui il bene e il male giocano a rincorrersi fino alla fine.
Un famigliare insanguinato in soggiorno: Helen e Danny sono sconvolti, gli rivolgono mille domande per ricostruire i fatti, in una concitazione generale parossistica. Passo dopo

passo si aggiungono dettagli capaci di trasformare l’intera ricostruzione dei fatti. Liam appare sempre meno come il soccorritore generoso e si mostra sempre più per ciò che è, un instabile e un violento.
Alle drammatiche narrazioni confuse di Liam Helen e Danny inizialmente si rintanano nel proprio perbenismo di stereotipi culturali, ma ad un tratto, quando è sempre più chiaro da che parte stia il bene e da che parte il male, il dado è tratto.
Il mondo è diviso in due – dice Helen – chi conosciamo e chi non conosciamo. Così mette in atto una difesa strenua del povero fratello debole e sfortunato attraverso un sovvertimento delle regole umane/etiche che li affonda sempre più nel baratro.
Dicevano che tu volevi andar a vivere da quella famiglia senza di me – dice Liam – ma io non ci ho mai creduto. I due fratelli, orfani e un tempo alla ricerca di una famiglia adottiva, sono inseparabili, lei non si sarebbe mai staccata da lui, la famiglia è la cosa più importante. Dicono.
Questa famiglia, rocca inespugnabile per chi non vi fa parte, deve allora essere difesa ad oltranza, costi quel che costi.
E se, nella narrazione di Liam, quel ragazzo ferito in strada è divenuto un aggressore violento, al pater familias è richiesto dalla famiglia-branco di andare a cercarlo nel magazzino dove è stato abbandonato ferito per dargli una lezione.
Il gioco della tensione cresce, ciascuno pare calarsi in ruoli archetipici che attuano una sorta di ribaltamento del proprio volto conscio lasciando sfogo al lato ombra, all’animale nascosto nei risvolti della propria personalità.
Liam si è ormai palesato per un aggressore razzista, Helen è la spietata e immorale tutrice di un focolare domestico fine a se stesso, mentre decisivo si fa l’agire di Danny. Dopo una notte trascorsa fuori casa, ritorna con le mani sporche del sangue della vendetta non necessaria, quella vendetta che si chiama aggressione senza motivo, tortura. Anche la sua mutazione si è compiuta.
Il viaggio nell’inferno degli istinti primordiali è il sangue versato che trasforma ciascuno dei personaggi, lo illumina di una luce immoralmente macabra pur tuttavia necessaria per conoscersi davvero. Il velo dell’ipocrita costruzione dei valori benpensanti lascia il posto al guizzo del male in una sorta di viaggio all’inferno.
 Cadono le false convezioni, la sacra famiglia fondata sulla protezione del branco a questo punto è pronta per sfaldarsi. Allora Helen urla al fratello che avrebbe tanto voluto essere adottata da una famiglia senza di lui, Liam è cacciato di casa per la sua immorale violenza e Danny non vuole più quel bimbo che Helen porta in grembo.
Lo sfacelo è compiuto, è crollato quel mondo di costruzioni esterne che non coincidono con la complessità umbratile dell’anima.
Dennis Kelly è abilissimo a costruire un gioco a incastro in cui si susseguono piccoli cambiamenti della narrazione, piccoli avanzamenti della costruzione dei personaggi, capaci di ribaltare rapidamente la percezione dei fatti e dei valori.
Questa metamorfosi continua è sottolineata dalla scelta registica di Tommaso Pitta, che fa ruotare la scena nel suo complesso come a proporre quella continua mutevolezza dei punti di vista così sostanziale nella percezione del reale.
A Monica Nappo, Paolo Mazzarelli e Lino Musella è affidato il durissimo compito di incarnare identità mutevoli nel volger di un istante, da famiglia perfetta a violenta congrega. Le abilità recitative si avvicendano ad una notevole capacità di alternare registri, da quello drammatico al grottesco-comico, con un velo di disperata necessità del male che pervade ogni sguardo, ogni gesto.

foto Massimo Scoponi