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È una esperienza straniante, e per certi aspetti anche fastidiosa, quella di sbarcare in un teatro come in un porto straniero per essere, dopo una traversata che scopriamo clandestina, selezionati e separati da voci straniere e sconosciute cui ci sottomettiamo, alla ricerca di un riposo che è soprattutto e prima di tutto la riconquista di una identità perduta. Forse non ce ne siamo ancora accorti ma la nostra coscienza più profonda in questo si è trasformata, in un confine, in un porto aperto su un mare tragico da cui cerchiamo disperatamente di selezionare e di scegliere, ovvero di rifiutare, l’altro.
Questo dimostra la drammaturgia collettiva di Welcome Project – The foreigner’s theatre messa in scena con passione, con entusiasmo cioè e insieme con sofferenza, da Chiara Elisa Rossini, storica artista del Teatro del Lemming, dimostra cioè come in fondo continuiamo a rifiutare la differenza e ci ostiniamo a metterla da parte a separarla da noi. Ispirato alla drammatica sequela di sbarchi e

naufragi che da anni occupano il nostro Mediterraneo, evita ogni ambizione sociologica, ricercando invece, nell’intimità della presenza scenica, le eco ed i riflessi che percorrono, come domande ancora senza risposte, anime volenterose ma ancora in bilico.
Può così declinare quella tragedia navigando tra esperienza esistenziale e sradicamento culturale e cercando, se non di evitare, di interpretare e elaborare quei tanti muri e quei lunghi confini che ci dividono e feriscono fingendo di proteggerci.
Incistato quasi su una esperienza diretta di emigrazione, nelle incertezze di un vivere multiculturale che però, nel profondo, non fa condividere, in certi tratti ricorda una drammaturgia degli anni 60 del novecento di Rainer Werner Fassbinder, Katzelmacher, in cui già emergeva il rifiuto verso la prima emigrazione, quella degli italiani in Germania per intenderci, la cui eco anche qui ancora rimbombava.
È anche una messa in scena che tenta di sperimentare “in teatro” il superamento dei confini ed un approccio empatico alle differenze, come nelle corde del Lemming che lo produce, che cerca di coinvolgere dunque, e da questo tentativo emergono domande semplici (chi è il tuo vicino? Cos’è per te la tua casa?) cui però sembra difficile rispondere.
Uno spettacolo interessante che già nel titolo (“Intimo straniero” è la traduzione) pone la diversità, a partire da quella di genere, come ineludibile punto di partenza soprattutto per la piena consapevolezza di noi, una differenza che non può essere nascosta ma in cui, come tale, poggia l’equilibrio della convivenza, prima con il nostro esserci e poi nella comunità del mondo. Perché, sembra indicarci, senza diversità non può esserci intimità e condivisione.
In scena, appunto “a costruire barriere e momenti di intimità” come recita il foglio di scena, tre attrici che trasfigurano in concreta presenza e passaggio scenico narrazioni sincroniche, sono le brave Aurora Kellermann, Babeth Woudenberg e Ela Cosen. La regia di Chiara Elisa Rossini è curata nei movimenti, utilizzando, del palcoscenico ricostruito come ridotto teatrale, ostacoli e barriere come pedane per superarle. Efficaci le luci di Alessio Papa.
Come detto una produzione del Teatro del Lemming, in collaborazione con Tatwerk i Performative Forschung di Berlino, che è anche il frutto di una lunga permanenza della Rossini nella capitale tedesca.
Ospite al Teatro della tosse di Genova, nel contesto di Focus Germania, il 19 e 20 gennaio. Un buon interesse da parte del pubblico presente.

Foto Marina Carluccio