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Rosario Sparno e Antonella Romano si “tuffano”, per rimanere in tema, nella drammaturgia derivata dalla scrittura di Andrea Camilleri, il cui romanzo “Maruzza Musumeci” viene adattato per la scena. Entrambi gli interpreti – ricordiamo che Sparno è anche il regista e colui che ha curato l’adattamento – si cimentano nell’eroica scelta di portare sul palcoscenico napoletano, e si spera anche in quelli di altre città italiane, la lingua siciliana. Dove sta la novità? Certamente una scelta del genere, che potrebbe risultare azzardata perché attuata da due attori napoletani, e quindi non madrelingua, è rischiosa. Ciò che meraviglia e attrae il pubblico è proprio la presentazione di una lingua, di un’ambientazione, di un contesto e, soprattutto, di una tradizione letteraria e narrativa di stampo siciliano. L’azzardo, e dunque la coraggiosa scelta, fortunatamente hanno un esito positivo, poiché, se vogliamo parlare della lingua, gli attori sono attenti a non scimmiottare il siciliano, né tentano di imitarlo, ma rielaborano sonorità sicuramente napoletane – “mugliera” invece di “mugghieri”, “juorno” invece di “ghiornu” – ma a tratti anche calabresi e pugliesi. Insomma, l’arcaica arte del racconto sviscera tutto il

potente dna meridionale, partendo da una solida base siciliana per rivolgersi apertamente ad un pubblico eterogeneo. La “mescolanza” tra reale e irreale, tra chi sta in scena e in platea, non esiste a priori, sia per la connotazione propria del racconto antico, sia per la presenza dell’attore sia in scena chee in platea, sia per gli sguardi e la gestualità dell’attrice che abbraccia con le parole ogni spettatore. La storia creata da Camilleri affonda le radici nella letteratura omerica, che, come è noto, oggi sopravvive grazie alla solida “armatura” di favole e di leggende che colorano e avvolgono tutto il Sud, soprattutto la Sicilia. Ambientata nella costa meridionale dell’isola, a Vigata, paese immaginario corrispondente all’attuale Porto Empedocle, la storia della donna-sirena, che inevitabilmente si mescola alla leggenda partenopea e alle varianti mediterranee della leggenda di Cola, uomo pesce – ricordando i famosi studi di Giuseppe Pitrè – racconta del matrimonio combinato tra il protagonista e la fantomatica ragazza, accompagnata dalla bisnonna “mavara”, la strega ancestrale che tutto sa e che tutto prevede, simbolo del passato e del futuro. “Funambole”, così sono definite, sottolineando la capacità di tirarsi fuori da ogni situazione. Ciò che emerge immediatamente, osservando il palcoscenico del Piccolo Bellini di Napoli che ha ospitato lo spettacolo dal 9 al 14 gennaio, è sicuramente l’allestimento scenico: due sedie altissime, come troni o torri di osservazione, trampolini per tuffi in mare o dentro misteriose piscine cilindriche, oppure, semplicemente le sedie da racconto, quelle posizionate nelle piazze o nei “curtigghi” (cortili). I pesci e le forme da sirene sono abilmente realizzate in fil di ferro dalla stessa Antonella Romano, che continua a lavorarle durante il racconto scenico, “tessendo” visivamente parole e forme. Quest’ultima, infatti, oltre ad interpretare tutti i personaggi femminili, attuando una particolarissima e velocissima caratterizzazione mimica e vocale, rappresenta il “cuntista” vero e proprio. Si parla di “cunto”, nonostante questo spettacolo sia, in realtà, un adattamento scenico-narrativo di un romanzo esistente, corredato, a tratti, da elementi che ricordano certamente la tecnica del cunto, ossia il battito del piede, lo scandire ossessivo della metrica, il canto, il racconto mimato; questo prodotto scenico, però, deve essere considerato come espressione recitativa di un racconto e non come un cunto vero e proprio, se inteso nell’accezione più specifica. L’ambientazione della storia è collocata presso Contrada Ninfa, punta di terra che si infila nel mare: la caratterizzazione ibrida persiste non solo nel luogo, ma anche nella descrizione del protagonista che non ama il mare, nonostante esso irrompa costantemente nella sua vita, e nella figura della ragazza, la quale, è evidente, ha necessità di nuotare durante le notti di luna piena perché si trasforma in sirena, anch’essa essere ibrido che vive tra terra e mare. La sirena che ammalia gli uomini con la sua voce e poi li uccide è immagine antica e ricorda sicuramente Omero, nonostante tutta la letteratura classica sia popolata da questa figura mitologica, anticamente rappresentata con sembianze di uccello antropomorfo. Ciò che interessa, in questo contesto, è il legame tra eros e thanatos, tra amore e morte, binomio che caratterizza numerose favole, leggende e soprattutto i cunti siciliani: la protagonista è bellissima e attira gli uomini in una trappola d’amore, fino ad ucciderli e a divorarli. La piscina/trappola, dunque, sembra non apparire mai come luogo macabro o sanguinario, così come tutta la storia non è mai caratterizzata visivamente da questi elementi, seppur essi appaiano evidenti al pubblico. La sirena-uccello, metà umana e metà animale, si collega alla tradizione classica e, quindi, al mondo dei morti. La donna-sirena riesce anche a procreare, diventando simbolo di ribellione e di potenza, dopo aver ucciso il passato, rappresentato dal pescatore Ulisse. Il sacro-profano e la natura ibrida sono elementi presenti anche nel nome della protagonista, Maruzza, diminutivo di Maria, vergine e procreatrice. Un racconto piacevole, dunque, ma soprattutto suggestivo, che colpisce e rende costantemente partecipe il pubblico, ad ogni replica. Uno spettacolo che gode della ricchezza della scrittura di Camilleri, ma che non banalizza né copia, bensì rielabora drammaturgicamente e scenicamente in maniera originale. Non possiamo esimerci, in conclusione, dal complimentarci con gli attori, ma è necessario sottolineare, in particolare, l’intensità di Antonella Romano.

Piccolo Bellini Napoli
9 – 14 gennaio 2018
Le funambole
di Rosario Sparno
liberamente tratto dal romanzo “Maruzza Musumeci” di Andrea Camilleri.
con Antonella Romano e Rosario Sparno
installazioni Antonella Romano
costumi Alessandra Gaudioso
luci Riccardo Cominotto
un progetto di Bottega Bombardini
si ringrazia la Compagnia Lunaria Teatro
produzione Associazione Casa del Contemporaneo - Centro di produzione teatrale