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Interno serrato, nessuna porta, quest’ultima immaginata solo attraverso rumori di scena, poco ossigeno, poca luce, nessun colore acceso, tranne il nero e il bianco: questa l’ambientazione dello spettacolo firmato dal COLLETTIVO LUNAZIONE, costruito sulla drammaturgia inedita di Eduardo Di Pietro, che ne è anche il regista ed interprete del personaggio cardine dell’intero racconto. Il linguaggio da thriller poliziesco  emerge ironicamente in contrasto con il contenuto del racconto e con la scelta interpretativa che vede in scena l’utilizzo dell’italiano e della lingua napoletana. Parliamo di JAMAIS VU, spettacolo che debutta nel 2015 in occasione del Fringe Festival, parallelo al Napoli Teatro Festival Italia, e che ritorna, alla fine della stagione 2017/2018, sulla scena napoletana, presso il teatro TRAM. Nato da una riflessione a ritroso, il titolo contiene il senso dell’intero racconto, sebbene sembri non svelare, apparentemente, nulla di quanto avviene tra i cinque

personaggi. Il racconto a ritroso, o meglio, la comprensione secondo un percorso inverso, caratterizza lo stesso elegante ed accattivante titolo che, da un lato, sembra racchiudere il mistero, per schiudersi, poi, completamente solo a fine spettacolo, dall’altro “stride” con la scelta linguistica e con l’ambientazione “nostrana” che non ha, dunque, nessuna relazione geografica con il titolo in lingua francese. Il primo approccio, infatti, sembra convincere lo spettatore che il testo sia un adattamento o abbia una natura derivante da qualche filone di drammaturgia europea; in realtà, in questo spettacolo, il riferimento alla contemporaneità italiana emerge quasi immediatamente. È  descritta, dunque, la condizione di una specifica fascia sociale, ma soprattutto generazionale, attraverso inserti in lingua napoletana che ci riportano ad una collocazione geografica ancor più specifica, nonostante i nomi dei personaggi appaiano, però, di memoria cinematografica americana.
Anche questo spettacolo entra a far parte della produzione drammaturgica contemporanea meridionale, recuperando il comune senso di fallimento e di frustrazione che numerosi autori  under 40 riportano ormai frequentemente sui palcoscenici italiani. Sebbene la tendenza drammaturgica, oggi, si orienti verso l’analisi del legame contrastato e contrastante con il passato, che ha come risultato la descrizione di famiglie smembrate e di genitori che sopravvivono ai figli, in questo testo il tema affonda le radici in una simile e oscura condizione, proponendo, però, il punto di vista dei figli, o di giovani genitori, e non quello dei “padri”.
JAMAIS VU, letteralmente “mai visto”, fa il verso al più comune “déjà vu”, ossia qualcosa di già visto che ritorna in mente ossessivamente. Il “mai visto” si collega a due concetti fondamentali, la memoria e il tempo, sui quali è costruito l’intero intreccio: i cinque personaggi, ladri improvvisati scampati ad una rapina in banca, non riescono a trovare il bottino e si ritrovano rinchiusi in una stanza serrata, una prigione, una tana sotterranea, tra la penombra e l’oscurità della mente che continua a dimenticare o a non ricordare. In effetti, i due concetti sono affini, ma contengono sfumature di significato molto importanti: chi non ricorda forse vuole dimenticare, ma se dimentica non è più in grado di ricordare. Che cosa contiene, quindi, la memoria di questi ladri/prigionieri? L’allegoria della vita e della generazione dei trentenni e dei quarantenni è presentata con ironia, all’interno di una cornice narrativa più generica – la rapina in banca –  ed appare a tratti macchiettistica, forse eccessivamente in alcuni passaggi, descrivendo le scelte e le perdite di questa generazione, attraverso singoli racconti inseriti all’interno della cornice: dal figlio/imprenditore in bancarotta, ossessionato dai ricordi di infanzia e destinato al suicidio, alla ricercatrice che ha speso la sua giovane vita nello studio, improvvisamente superata in graduatoria dalla figlia di un docente dell’ateneo, fino alla giovane coppia di operai che ha perso un figlio a causa di una malattia. Il colpo in banca, dunque, rappresenta la volontà di cambiamento; il mancato-immaginato bottino e la perdita della memoria distolgono e impediscono il raggiungimento degli obiettivi reali. Luogo del non-ritorno, il palcoscenico/prigione, lontano dalla realtà esterna, diventa inconscio, mente, coscienza, e ogni personaggio è costretto a fare i conti con se stesso per reagire. Il quinto personaggio – non a caso il suo nome è “Future” – interpretato dallo stesso autore e regista, rappresenta il capo della banda, il guru, il santone, il boss, insomma colui che sprona gli altri personaggi a ricordare dove sia stato nascosto il bottino, allegoria del tempo che passa, della speranza e della volontà che si affievoliscono. I dialoghi, spesso serrati, si alternano a lunghi monologhi, attraverso l’utilizzo del microfono che apre un ambiente immaginario dentro a quello serrato e angusto, attraverso cui i personaggi possono raccontare il loro passato. Colpisce l’affiatamento e l’osmosi tra tutti i bravi componenti della compagnia, composta dal già citato Eduardo Di Pietro, ma anche da Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforti e Laura Pagliara: quest’ultima, nei panni della ricercatrice, emerge notevolmente per l’intensa ed ironica interpretazione. Il testo, in conclusione, sembra, in effetti, ripercorrere strade già conosciute, ma sceglie un’atmosfera accattivante che coinvolge e cattura il pubblico attraverso i dialoghi serrati, l’utilizzo del corpo  e di specifici meccanismi scenici. Il colpo di scena finale, forse compreso ben presto dal pubblico, sembra offrirci uno spiraglio e una possibilità di reazione all’oscurità della prigionia sociale, culturale ed economica, ma soprattutto generazionale.

Foto di C. Scuro

JAMAIS VU
Teatro Tram Napoli
4-6- maggio 2018
Collettivo Lunazione
JAMAIS VU
con Eduardo Di Pietro, Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforte, Laura Pagliara
costumi Federica Del Gaudio
aiuto regia Alessandro Errico
progetto e regia Eduardo Di Pietro
produzione Collettivo Lunazione
in coproduzione con Fondazione Campania dei Festival