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Goffa, appesantita dalla vita, scostante col pubblico. Così ama presentarsi Bruna lì per lì, cantante di locali di serie B dal fido tastierista in giacca improbabile, con cui battibecca continuamente. Al Teatro di Rifredi (via Vittorio Emanuele II, 303) fino all’11 novembre è tornata in scena “Bruna è la notte”, capolavoro di grande successo di Alessandro Riccio, che interpreta anche il ruolo della cantante (alla tastiera Alberto Becucci). La hall del teatro è il luogo della rappresentazione, perché la Bruna non ce la vedi nei grandi teatri di velluto rosso. Un palco di fortuna, qualche manifesto di poco prezzo e un repertorio sconosciuto di canzoni che narrano storie ispide.  Bruna ha voglia di ridere e di raccontarsi al suo pubblico, alla ricerca di quella complicità che la vita pare averle negato. Si disvela pian

piano un’esistenza ai margini, la fatica di vivere ma la dignità di esserci riusciti ad arrivare così avanti quando invece le altre, le sue amiche, non ce l’hanno fatta.
La tecnica drammaturgica è azzeccata, Bruna è un personaggio sfaccettato, che si presenta su piani successivi agli occhi del pubblico. Non ti racconta, ti confida. Non regge il silenzio sui dettagli scabrosi, la sincerità è la dote dei sopravvissuti. Difficile inquadrarla, spiazza e commuove, fa sorridere e distanzia. Una storia diventa la storia di tutti, un affanno esistenziale per sopravvivere ai gorghi del destino, soprattutto per quelle vite in cui il destino pare avercela messa tutta per complicare le cose. E’ questo il tratto di maggiore valore dello spettacolo, un testo ricchissimo ma senza parole inutili, come piace invece a certo teatro contemporaneo. Non c’è l’astratta filosofia della scuola di teatro, ma l’attento studio della vita vista dal marciapiede, non dall’auto di lusso.
Riccio si cala nel personaggio confondendosi con esso, come se Bruna sia già dentro di lui e approfitti delle rappresentazioni per uscire a mostrarsi. La gestualità, la voce, la presenza in scena caratterizzano a pennellate giustapposte questo personaggio che nell’immaginario collettivo toscano vive ormai di vita propria, una sorta di Alda Merini fiorentina appassita dalla vita eppure ricchissima di messaggi.
A Firenze è ormai un punto di riferimento che si torna a rivedere con piacere, peccato non poterla incontrare anche nei teatri di altre regioni, dove avrebbe analoga efficacia espressiva.
Necessario vederla.