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Quel che resta è la percezione della oscura complessità del reale, quel che resta dello spettacolo “Il senso del dolore” è la percezione che il mistero del male resta nella realtà e, impenetrabile, continua ad abitare le menti degli uomini: di un delitto si può pure trovare il colpevole e, si sa, il Commissario Ricciardi è davvero bravo a trovarlo, ma il mistero del male non lo scalfisci, resta perfetto e impenetrabile. È quanto vien fatto di pensare in relazione a “Il senso del dolore” spettacolo scritto e diretto da Claudio Di Palma che ne ha tratto il testo dal fortunato, omonimo giallo di Maurizio De Giovanni (del 2007). In scena oltre allo stesso Di Palma (nel ruolo del commissario Ricciardi) ci sono Chiara Baffi (Maddalena Esposito, ovvero l’assassina), Antonello Cossia (Lasio, il vicequestore Garzo e il Maestro Pelosi), Francesca De Nicolais (Bambinella), Renato De Simone (Stefano Bassi, l’impresario Marelli, Michele Nespoli), Antonio Marfella (il Brigadiere Maione e il dottor Modo),

Alfonso Postiglione (Don Pierino), Lucia Rocco (Livia Lucani); scene, costumi e luci sono rispettivamente di Luigi Ferrigno, Marta Crisolini Malatesta e Gigi Saccomandi, mentre le musiche sono di Paolo Coletta e le installazioni video di Alessandro Papa. Si tratta di uno spettacolo che dispiega lentamente la sua drammaturgia facendola coincidere con l’evolversi dell’inchiesta di Ricciardi e facendola respirare e crescere nel clima della Napoli degli anni ’30 e della grande lirica e in particolare dell’Opera “I Pagliacci” di Leoncavallo: dalla scoperta dell’uccisione del famoso tenore Arnaldo Vezzi (grande artista, amico di Mussolini, uomo di genio certo ma insieme capace di grandi miserie e nefandezze, “un bastardo” insomma), il corpo riverso in una pozza di sangue nel camerino del grande San Carlo, fino alla scoperta finale dell’assassina, animata – come da esatta intuizione di Ricciardi – da passione amorosa tradita, delusa, frustrata. Una scoperta che è certo dirimente ai fini della conclusione dell’inchiesta e del ricostruirsi di un equilibrio sconvolto, ma che certo non solleva i protagonisti dal restare avvolti nel mistero del male e della morte che aveva portato a quell’assassinio. Si tratta di uno spettacolo in cui appare sicuramente convincente la capacità di rievocare più che di raccontare senza, nello stesso tempo, perdere la dimensione di genere (si tratta dell’inchiesta di un poliziotto) che è tipica del romanzo in questione. Una capacità di rievocazione che si riverbera negli attori, che sanno interpretarla, darle corpo e intensità, renderla credibile teatralmente. Unico difetto è, probabilmente, una sorta di fiducia eccessiva nella conoscenza del romanzo di De Giovanni da parte del pubblico: certo si tratta di un’opera che ha avuto popolarità, ha segnato un successo di vendite, ha persino dato vita a una serie di romanzi dominati dalla presenza del commissario Ricciardi, ma ciò non toglie che la logica interna dello spettacolo deve essere autonoma rispetto alla popolarità letteraria. Ad esempio la presenza nella vita di Ricciardi del continuo e ossessivo dialogo con i morti, è giustamente presente e sottolineata continuamente dal regista ma poi non appare sostanziale e necessaria, e comunque così evidente nella scoperta dell’assassina di Vezzi. Visto al debutto in prima Nazionale, il 26 dicembre 2018, nel Teatro San Ferdinando di Napoli.

Foto di Marco Ghidelli