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Spesso gli incroci della storia, pur nulla insegnandoci come ormai noto, offrono l'immagine della durezza crudele e dell'indifferenza che si impadroniscono dell'essere umano e,  oscurandolo, soverchiano il suo sguardo, talora però quegli incroci si deformano e offrono al grottesco spunti di inaspettato svelamento. È il caso di questa messa in scena di Elvira Frosini e Daniele Timpano, che del grottesco ripropongono in chiave contemporanea la capacità, attraverso il comico e la risata, di farci sopportare il male e quindi di guardarlo e forse elaborarlo senza farci volgere gli occhi e la mente ad un altrove confortante. “Gli sposi”, sul bel testo di David Lescot, è la narrazione, paradossalmente e straordinariamente teatrale, di una coppia ordinaria, di cui nulla, a partire dalle origini campagnole e dalla approssimativa cultura, lasciava prevedere l'ascesa ai vertici del partito e dello stato rumeno. Eppure Nicolae Ceausescu e Elena Petrescu, quasi senza volerlo ma seguendo una quasi inconscia e testarda volontà, assorbono come spugne modi di essere e di esistere cui non sembrano appartenere e che forse neanche condividono fino in fondo, e trascinati dal fiume della storia

si ritrovano novelli Macbeth con la sua Lady ad insanguinare e sfruttare un popolo intero.
Ma ciò che appare ancora più paradossale in questa revisione scenica, che segue fedele la vita dei suoi protagonisti fin nei gesti, nelle sonorità, nei movimenti che sembrano allargare il palcoscenico ai vasti orizzonti della Valacchia e della Transilvania, è il dubbio che forse veramente credevano in ciò che non capivano, fino alla fatale esecuzione.
Frosini e Timpano ci offrono dunque ancora una volta una chiave di lettura della Storia, quella con la esse maiuscola, costruita su una storia dalla esse minuscola, quella di personaggi che nello squilibrio appunto tra la grandezza del compito e l'inadeguatezza delle capacità accendono la sintassi grottesca che li svela, e svela anche noi che in fondo quelle piazze forse abbiamo frequentato e dimenticato.
Anche quell'ultima piazza che precede la fuga e la finale resa dei conti, di cui di fronte alla scena diventiamo interlocutori mentre, non senza un senso di angoscia segnato ed enfatizzato dalle continue (e realmente accadute) ripetizioni, i protagonisti sembrano man mano perdere se stessi, o forse ritrovare improvvisamente il loro vero sé, suscitando anche una inaspettata empatia nei confronti di “due povere figure anche un po’ tenere e indifese”, come scrivono gli stessi registi.
Uno bello spettacolo, di quelli che non lasciano indifferenti, diretto e efficacemente interpretato da Frosini e Timpano che usano e sprofondano corpo e voce quasi a recuperare l'oscuro messaggio nascosto nelle grotte del tempo che fu, e che non è nemmeno tanto lontano.
Una drammaturgia come detto del francese David Lescot, nella traduzione eccellente di Attilio Scarpellini. Regia, interpretazione e riduzione Elvira Frosini e Daniele Timpano, disegno luci di Omar Scala, scene e costumi Alessandro Ratti, collaborazione artistica Lorenzo Letizia, assistente alla regia Camilla Fraticelli, voce off Valerio Malorni. Progetto grafico Valentina Pastorino.
Una produzione Gli Scarti di La Spezia, Accademia degli Artefatti e Kataklisma Teatro, ospite alla sala Campana del Teatro della Tosse di Genova dal 21 al 23 Marzo. A lungo applaudito.