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Storia di un uomo e del suo alter ego non umano, o forse solo, come oggi si direbbe, diversamente umano, perché in fondo specchiarsi in qualcuno o qualcosa è condividere lo stesso spazio anche virtuale, proprio come un uomo e un topo (il Grigio appunto). Storia di una vita e dei suoi/nostri “mostri dentro”, temuti ma quasi desiderati per sentire forse di essere e esserci un po' di più. Tutto ciò è ed è in questo apparentemente lontano racconto scenico, uno dei più bei monologhi del teatro/canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, allora (era il 1998) visionario e distopico ora anche politicamente “molto scorretto” e straordinario, ovvero paradossale, nelle sua evidente attualità e nella esuberante contemporaneità che sa andare oltre la scena stessa. Un borghese qualunque, misura del tempo che ancora oggi viviamo, si rifugia nella nuova casa in campagna ad allontanare se stesso e a riparare, nel senso di aggiustare, una identità sfrangiata tra matrimoni falliti, figli distanti

e amanti incomprese e incomprensibili, ma come il cavaliere di Samarcanda non fa che ritrovare quel se stesso che fugge ed essere posto di fronte a lui (il grigio?) senza più vie di fuga e possibilità di remissione. Alla fine … ma a questo punto la fine non ha più alcuna importanza.
Lucido e intelligente come poche volte ci capita oggi, in scena e fuori dalla scena, l'aspra scrittura di Gaber, che le sue canzoni ricompongono come un sogno ricorrente, è in fondo un atto di amore verso il pensiero umano e verso l'umanità che dovrebbe custodirlo, un atto d'amore da parte di chi sta a poco a poco perdendo la sua speranza.
Giorgio Gallione recupera il testo con partecipazione e incanto, oltre ogni nostalgia o filologia, e lo riconsegna al suo luogo naturale, il palcoscenico, e con attenzione ne sottolinea passaggi e svolte, irrobustendo la nostra continua condivisione con inserti di straordinarie canzoni. La sua regia, come il testo, è sempre in bilico tra naturalismo ed onirismo, riuscendo così a ricreare un ambiente della mente, il luogo dei nostri mostri, che a tutti appartiene anche se molti colpevolmente volgono altrove lo sguardo, ne fanno (di quel luogo) semplicemente a meno.
Elio, da parte sua, è molto bravo ad occupare la narrazione non solo con il suo corpo e con la sua mimica efficace, ma soprattutto con la sua voce che talvolta sembra portare intrinsecamente la eco di uno stetoscopio appoggiato al nostro cervello.
Arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri. Luci di Aldo Mantovani.
Una produzione del Teatro Nazionale di Genova, al teatro Gustavo Modena di Sampierdarena, dal 15 al 27 Ottobre. La sala era piena e le chiamate sono state numerose.

Foto Giuseppe Maritati