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Dove eravamo rimasti? Il teatro è ancora lì, anche dopo la lunga pausa. Forse perché il tempo scorre con una modalità diversa sul palco, basta riaccendere le luci, gli attori in scena e tutto sembra essere tornato come prima. Ma in realtà non è così, tutto sembra come sospeso, distante e distanziato, asettico e disinfettato, silenzioso e umbratile. Questo bellissimo spettacolo in fondo parla proprio di questa terra di mezzo nella quale stiamo vivendo ora. “Idiota” del catalano Jordi Casanovas (in scena all’Elfo Puccini di corso Buenos Aires 33 a Milano fino al 30 maggio) non vuole essere teatro di narrazione né di epopea, è puro pensiero, esperimento sociale metafisico e utopistico ma più reale della realtà. Prendiamo un uomo qualunque, molto nella media per la sua mediocrità. Mettiamolo a confronto con la sua anima e i suoi valori. Cosa sei disposto a fare per amore dei tuoi cari? Cosa sei disposto a fare per amore dei tuoi valori o del tuo portafogli? Roberto Rustioni (che qui è anche regista, ma già apprezzato tre anni fa in “Donne che

sognarono cavalli”) affonda dentro di sé con ansia crescente. Deve scegliere chi salvare, cosa salvare, che valori contano. Un gioco assurdo, una fantomatica società di ricerche psicologiche lo mette alla gogna, lo costringe a scegliere se perdere qualcuno dei suoi cari per una ingente somma di denaro oppure salvare e salvarsi, precipitare nel baratro dei mille debiti che ha contratto oppure risolvere tutto a caro prezzo.
Una bravissima Giulia Trippetta, nel ruolo della psicologa incaricata di sostenere il test, incalza e blandisce, ferisce e illumina in una sorta di personificazione del Daimon che ti spinge in quei bivi in cui la vita ci incastra miseramente, da un lato i valori in cui crediamo, dall’altro le convenienze.
Chi la vincerà?
L’Idiota di Dostoevsky è una miscellanea di idiozia pura, bontà genuina, istinto primordiale puro (o infantile). L’idiota di Casanovas è invece un uomo inconsapevole del fatto che nella sua mediocrità stia la causa dei mali del mondo, un uomo che non ha valori ma convenienze camuffate di buonsenso e necessità.
Un testo molto riuscito, abile nello stimolare il pubblico con il ritmo e al contempo la riflessione, come di rado si è visto fare in un’ora abbondante di pièce. La parola è il vero fulcro del mondo, con la sua capacità di plasmare la percezione del mondo e di sé, ribaltando ciò che fino a pochi istanti fa era stato considerato certo e apodittico. Cosa si salva della natura umana? Ben poco, e la consapevolezza ne è amara.