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Siccità, carestia, crisi economica, migrazioni. Ma non raccontiamo l'oggi così straordinariamente sovrapponibile, ma l'altro ieri dell'America precipitata nel buio della propria disperazione e dello sfruttamento senza confine, cui solo più tardi seguirà il riscatto del New Deal. Un epos che il romanzo di John Steinbeck trasformerà da cronaca a storia, da evento contingente a lezione essenziale ed universale, svelando i meccanismi della caduta e dell'oppressione economica che sotto cieli diversi e per uomini all'apparenza diversi, si ripetono eguali a se stessi, imperturbabili e inesorabili. Cambiano talora i protagonisti ma non le ferite inferte ad una umanità dolente spinta verso un orizzonte sempre più lontano, verso un altro occidente, una delle tante California in cui realizzare le proprie speranze, dalla sola forza dei sentimenti e degli affetti che la percorrono. Ispirato a quella narrazione, lo spettacolo portato in scena da Massimo Popolizio, sulla drammaturgia/adattamento di Emanuele Trevi, non è una lettura ma è capace di aggiungere a

quelle parole lo spessore di identità perdute, la prospettiva profonda che solo il teatro sa dare, innervando di sangue e carne la concretezza di una voce che è presenza in scena.
Così il racconto si spezza in tanti momenti, ciascuno indipendente ma sempre omogeneo e coerente, e si trasforma in drammatica contrapposizione, che l'uso di registrazioni che sembrano dialogare oltre il palcoscenico, enfatizza con un paradossale effetto straniante, accentuato dalle immagini fotografiche che scorrono con le parole, dietro le parole.
La musica che dal vivo delle percussioni del bravo Giovanni Lo Cascio accompagna la voce narrante diventa poi un altro interlocutore necessario, che ci asseconda nello sguardo che comincia a riconoscere quella umanità.
L'umanità di allora e soprattutto l'umanità di oggi che vende tutto quello che ha, a grassi banchieri e a sfruttatori sempre pronti e rapaci, nella speranza di un futuro migliore per sé e per i propri figli, ma che naufraga a poche miglia dalle nostre coste o si perde al freddo di montagne sconosciute, mentre attorno risuona beffarda la consueta giustificazione: “Dove andate? Qui non c'è posto per tutti”.
L'ultimo quadro è un quadro di speranza che illumina l'insopprimibile che è nell'uomo e nella donna, quel legame annodato nell'affetto che è tutto ciò che rimane dopo aver tutto perso, e che è sufficiente a completare il viaggio. Così la madre che ha perso il suo bambino offre il suo latte e il suo riparo all'uomo sfinito dalla fame.
Un bel lavoro, commovente e coinvolgente, che scorre con efficacia e fluidità e che, come il romanzo, non si vergogna di essere politico nel significato più alto della parola.
Una produzione Compagnia Umberto Orsini – Teatro di Roma. Ideazione e voce Massimo Popolizio. Adattamento Emanuele Trevi. Musiche eseguite dal vivo Giovanni Lo Cascio. Suono Alessandro Saviozzi. Luci Carlo Pediani. Assistente alla regia Giacomo Bisordi. Creazioni video Igor Renzetti e Lorenzo Bruno.
Ospite del Teatro Nazionale di Genova, al Teatro Gustavo Modena dal 3 al 5 giugno. Sala piena e coinvolta.