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Prosegue con notevole successo la rassegna “Il teatro del dialogo” nell'ambito della ventitreesima edizione di Suq Festival a Genova, con uno spettacolo della compagnia “Piccoli Idilli” già altre volte ospite, prodotto in collaborazione con Mittelfest 2020. Mercoledì primo settembre alle 21 e 30 e in replica il giorno successivo in una non usuale mattinée alle 10 e 30:
DANNATAMENTE LIBERO
“…e se mai andrai nel deserto, inginocchiati e prega perché è fatto delle ossa dei miei fratelli e il vento che lo muove è il loro unico ristoro.”
Un melodramma potremmo definirlo, nel senso che è una vera e propria drammaturgia con musica e danza come nella più accreditata tradizione, che però non è melodrammatico ma al contrario lirico e insieme tagliente e lucido ben più di ogni analisi storica o sociologica, in quanto affonda le sue radici nelle componenti più intime, essenziali ed irriducibili dell'anima dell'essere umano nella sua singolarità e dell'umanità

nel suo complesso.
Parliamo di razzismo e già questo argomento nel corrente politically correct offrirebbe innumerevoli vie di fuga, umanitarie e religiosamente assolventi, vie di fuga fatte apposta per assolverci tutti assieme con dichiarazioni di apertura e di accoglienza che sembrano servire solo a coprire un disagio e un senso di colpa difficili da affrontare. Tanto succede tutto e sempre 'altrove'.
Invece questa drammaturgia, e con sincerità lo dichiara sin in apertura, mette coraggiosamente il dito in una piaga che non si rimargina, quella piaga che tutti ci riguarda e che si incista nel sottile e quasi automatico disagio che ci prende quando il migrante in qualche modo ci riguarda e ci attraversa. Un  disagio di fronte alla diversità che ha un nome difficile da affrontare e ha un colore, il colore della pelle, il 'nero'. Un non detto, questo, che riassume molte cose, stratificate per secoli nella storia e nell'educazione dell'occidente e che emergono anche nella sua condanna pubblica ed esplicita, spesso deformandola così che si condanna ma non si fa in modo che le cose cambino, pensando in fondo che sono così e non possono cambiare.
È sintomatico e insieme icastico che questo disagio venga raccontato da una drammaturga italiana, occidentale e 'bianca' dunque, e che venga portato in scena da una performer e da un musicista neri, quasi a rappresentare come il nostro disagio-rifiuto involontario e la loro sofferenza fossero un calco e il suo prodotto, diversi ma inevitabilmente associati e inestricabili.
Un bel testo, ricco e suggestivo che la danza metamorfizza con spontaneità e naturalezza e la musica asseconda e arrichisce di tonalità che la parola non potrebbe attingere. Un bello spettacolo dunque, ben diretto e ben interpretato. Efficace la coreografia e la sua interpretazione e estremamente suggestivo l'uso appassionato degli strumenti della tradizione africana.
La voce di chi non ha voce. Testo di Sonia Antinori, con Bintou Ouattara. Accompagnamento musicale Ousmane Coulibaly e Souleymane Diabate. Coordinamento e regia Filippo Ughi. Produzione Piccoli Idilli /MittelFest 2020. Molti gli applausi.