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Alla nona edizione si comincia per davvero, si comincia a vedere la luce: il pubblico aspetta quel festival, le relazioni, le collaborazioni e le partnership si consolidano, il ministero magari ti ammette a finanziamento e, insomma, ciò che era un progetto, un desiderio e una scommessa comincia a diventare realtà. Comincia: è giusto dire che solo alla nona/decima edizione la storia di un festival comincia per davvero. Poi si può discutere se questo sia giusto o sbagliato, accettabile o inaccettabile, ma tant’è. Raccontiamo in questo caso di “Codex festival” il festival multidisciplinare (teatro, musica, danza, poesia, con focus sugli intrecci del contemporaneo) diretto da Salvo Tringali e che, appunto, da nove anni si svolge tra fine agosto e settembre a Noto, la bellissima cittadina barocca del sud-est della Sicilia. Quest’anno si è partiti il 21 agosto con la parola d’ordine “rigenerazioni” e un cartellone denso di spettacoli ed eventi interessanti. Ultimo appuntamento previsto al 17 ottobre. Il primo spettacolo si è visto il 21 agosto scorso

(teatro all’aperto “Noto d’Estate”) e si è trattato del reading di Luca Persico (meglio conosciuto come “’O Zulu”, leader dei 99 Posse) “Ridire - parole a fare male”. Il disegno dello spazio scenico e la regia sono di Pino Carbone; in scena, oltre allo stesso Persico, ci sono il violinista Edo Notarloberti, che suona dal vivo ed ha curato le musiche, e l’attrice Francesca De Nicolais. Si tratta di un lavoro di notevole forza comunicativa, emozionante (soprattutto per chi ha amato i Posse) la cui idea centrale è la rilettura della trentennale vicenda umana e artistica di Persico. Una rilettura che è racconto, doloroso ri-attraversamento umano, prima che artistico e politico, di mille esperienze di vita, d’incontro e di lotta, ri-attraversamento di canzoni che diventano storie e testi poetici. Un percorso doloroso fino all’ultimo segmento, ovvero il momento in cui la nascita del figlio Raul, consente all’artista di avere una base morale da cui, pur senza essersi mai arreso, poter ri-guardare la sua vita come qualcosa di concluso e (forse) sensato e da cui, soprattutto, poter guardare avanti. «Un altro mondo è nei tuoi occhi», dice l’artista riferendosi agli occhi del figlio. C’è soltanto un aspetto che non convince e non è secondario: l’assenza (o la sostanziale debolezza) dello sguardo politico sul presente, sul “nostro presente”, che certo è figlio del recente passato ma ha anche caratteristiche culturali, economiche e politiche sue proprie. Ridire le parole di trent’anni fa, rialzare i vecchi simboli (ad esempio la rivendicazione orgogliosa del nostro essere “terroni”) fa male sicuramente a qualcuno ma non può bastare. Verificare lo status attuale di un sogno politico, pur vissuto con pienezza nella appartenenza di classe e nella gioia della lotta, fa male certo, ma non basta a motivare nuove lotte. E soprattutto a chi fa male oggi quel “ri-dire parole”? A chi quelle parole d’ordine non le sente più come una reale chiamata all’impegno, perché nel frattempo la sua vita ha assunto una irrevocabile struttura borghese? Oppure fa più male a chi in quella esperienza si è speso sinceramente e poi, senza averne ricavato riconoscimento alcuno o visibilità pubblica, l’ha trasformata in impegno oscuro, quotidiano, riformista (è una bestemmia?), silenzioso dentro i gangli vitali e le tangibili ingiustizie delle nostre città, della nostra democrazia, del nostro mondo? Però non si tratta di una nuova chiamata alla lotta, non è uno spettacolo di nuova militanza, è piuttosto un crogiolarsi nella bellezza della lotta, di una lotta che ha impegnato molti giovani (gli anni dei centri sociali, della pantera, della frustata del G8) e adesso li vede – troppo spesso – regolari e pacificati professionisti che di quella lotta ricordano appena il ritmo travolgente di qualche canzone.
In tutt’altra atmosfera ci trasporta “Marathon des sables” (22 agosto, teatro “Tina Di Lorenzo”), lo spettacolo interpretato da Cosimo Frascella il quale, con Andrea Santantonio, ha curato anche la regia e la drammaturgia, mentre luci e creazione video sono rispettivamente di Joseph Geoffriau e di Lorenzo Bruno. Lo spettacolo mette insieme due storie: da una parte la vicenda della straordinaria avventura del maratoneta Mauro Prosperi (medaglia d’oro di pentathlon nelle Olimpiadi di Los Angeles del 1984), che nel 1994 decide di partecipare alla “Marathon des sables” (240 km da fare in una settimana, nel Sahara marocchino, in totale autonomia alimentare), e al quarto giorno si smarrisce per una tempesta di sabbia e resta a vagare per altri dieci giorni nel deserto in condizioni del tutto proibitive fino a tentare il suicidio, ma restando fortunatamente in vita; dall’altra la vicenda di un giovane teatrante (il riferimento è dichiaratamente autobiografico) che prova l’ultimo spettacolo prima di darsi per vinto e decidere di cambiare mestiere. La storia di Prosperi è sorprendente, affascinante ed è un soggetto meraviglioso per uno spettacolo di narrazione: una storia semplice, avventurosa, con un inizio e una fine chiari e concreti, quasi naturalmente ricchissima di atmosfere interessanti, di insegnamenti e di echi letterari e filosofici. Lo spettacolo è onesto e gradevole, seppur con delle evidenti ingenuità, sia sul piano della drammaturgia che su quello della regia, che lo pongono al di sotto delle aspettative che pur riesce a creare nel pubblico. Una per tutte: di fronte a una storia così bella e ricca di senso non era affatto necessario, nell’economia complessiva dello spettacolo, il giochino meta-teatrale dell’attore giunto alla sua crisi definitiva.

Foto Valentina Costanzo