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Domanda del giornalista: “Per lei Vienna è una finestra aperta sul mondo?” Risposta dell’autore: “E’ piuttosto uno spioncino…”  Con queste rapide e incisive parole, parole taglienti, come quelle dei suoi testi, Thomas Bernard, esprimeva il suo dissenso nei confronti di alcuni politici austriaci: non avevano mai abbandonato del tutto, l’ideologia nazista. Piazza degli Eroi (Heldenplatz), ultima opera dell’autore, è in scena a Milano. L’opera, indicata dagli studiosi come il testamento teatrale di Bernhard, è un grido di dolore nei confronti degli orrori di tutte le guerre, del fascismo, del nazismo, della xenofobia. Buio della mente che ancora sopravvive nel cuore di alcuni: di chi governa ma anche dell’uomo qualunque che sputa addosso all’immigrato o all’ebreo. Un testo che racconta oltre il tempo e lo spazio (nonostante alcuni riferimenti storici) la sofferenza degli emarginati, le vittime del passato e le vittime del presente, unite insieme da un filo rosso. In occasione del debutto, al Burgtheater di

Vienna, l’opera suscitò uno grande clamore proprio per gli espliciti riferimenti temporali e spaziali: la data, marzo 1988 e il titolo, Heldenplatz, la piazza di Vienna in cui Hitler annunciò l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, nel 1938.  Bernhard racconta una storia emblematica di amore e odio per una patria vissuta da lui come straniero, ospite non gradito. La rappresentazione si apre con il racconto di un funerale. Il morto è il professore di matematica Josef Schuster, intellettuale ebreo tornato a Vienna dopo un lungo esilio ma si troverà di fronte un Paese che non riconoscerà più, logorato dal razzismo e dall’antisemitismo. Non potendo più sopportarlo, Schuster si suiciderà, gettandosi dal palazzo della sua casa che si affaccia proprio sulla Piazza. A raccontare la vicenda, due emblematici monologhi inseriti nel testo, in tempi e luoghi differenti: quello del fratello Robert, professore di filosofia e quello della governante, la signora Zittel, che vive in casa con lui da molti anni legata al suicida da un rapporto di ammirazione, odio e amore al tempo stesso. Il suicida non si vede e nemmeno la piazza, saranno continuamente evocati nel racconto, perché in quella piazza ci siamo tutti noi con le nostre paure le nostre angosce e il nostro forte desiderio di gridare ad alta voce no ad ogni forma di sopruso, no ad ogni forma di razzismo. Roberto Andò, con grande intuito, inserisce nella rappresentazione un personaggio nuovo, il fantasma del professore ma potrebbe anche essere l’alter ego dell’autore: il pianista Vincenzo Pasquariello, un vero mosaico di convincenti sguardi, nelle sue espressioni ora liete, ora dubbiose, ora felicemente distaccate, rispetto al dolore raccontato in scena. Pasquariello regala al pubblico piccoli paesaggi musicali e attraverso la voce di Bach, Beethoven, Chopin, Schubert, racconta il bisogno di bellezza dell’umanità, il bisogno di serenità, quella che il professore non ha mai trovato in vita. La regia di Roberto Andò, fedele al testo, rappresenta una serie di metaforiche prigioni in cui si muovono i personaggi. Nel primo tempo una stanza scura e soffocante con armadi immensi: due donne si muovono all’interno di questa gabbia di parole, sguardi e azioni meticolose e ossessive: la signora Zittel e la giovane cameriera Herta, intente a riordinare i vestiti del defunto; nel secondo una prigione-giardino con un poetico richiamo al giardino di Čechov, un giardino distrutto, con alberi sottosopra, rotti, secchi, inariditi… Prigioniere di questa scena, altre due donne, le due figlie del suicida Anna, lucida e razionale, e  Olga timida e introversa, offesa per strada proprio perchè ebrea. I loro dubbi e le loro angosce saranno dissolti dall’ingresso in scena del filosofo, Robert, fratello del defunto. Nel terzo atto, l’ultima gabbia: ci troviamo di fronte ad una tavola imbandita sovrastata da due immense finestre, un’ultima cena; al centro siede la moglie del professore che continua a sentire le urla che inneggiano a Hitler urla che la rendono folle. Tutti gli interpreti (Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello, Enzo Salomone) bravissimi e abilmente immersi nella musica, le note suonate al piano, i suoni digitalizzati di Hubert Westkemper, rendono magicamente vera la follia rappresentata, la sentiamo rimbalzare in ogni poltrona del teatro, eco di una coscienza collettiva da scuotere, perché il teatro non è un “digestivo” ma deve far riflettere, come spesso suggerisce Bernard. Il fascismo che vive in noi non ce lo strapperemo mai di dosso, sosteneva: “Non c’è arte, bellezza, poesia che possano redimerci”. Roberto Andò, regista ma anche scrittore e direttore artistico del Mercadante di Napoli, presenta quest’opera teatrale come un grande libro da sfogliare con gli occhi, dove le scene si susseguono come pagine di vita. In lui c’è la consapevolezza di voler realizzare, come ha più volte dichiarato, un teatro semplice, che possa arrivare a tutti, condiviso da tutti, dal pubblico e da chi lo fa. Il Teatro, infatti, è l’unica forma d’arte che può realizzare in tempo reale, una condivisione di anime, in cui è possibile allargare il pensiero e guardare la vita da una porta aperta sul mondo, oltre gli “spioncini” che ci portiamo dentro.

Milano, Piccolo Teatro Strehler, 3-14 Novembre 2021
Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale.