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Chi di noi non ricorda Fool, il buffone del monarca spodestato e fuggiasco che nel “Re Lear” di William Shakespeare teneva stretto nelle sue mani il filo doloroso, ma ineludibile nella sua stessa necessità, della consapevolezza, così da poter accompagnare infine il suo compagno-padrone al lido liberatorio della morte? Divenuto icastico e paradigmatico il fool ha percorso come un filo rosso, talora mostrandosi indirettamente celato in altri ruoli, il teatro di ogni tempo. Lo ritroviamo sul palcoscenico protagonista di questo straordinario monologo, mutevole ed in continua metamorfosi, di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, lo ritroviamo sopportato quasi dal corpo e dalla parola di Antonio Rezza che travolge gli schemi in nome di una semplicità semplicemente dimenticata, di una purezza di sguardo che ricompone e illumina le tragiche deformità, morali ed esistenziali, di una realtà sempre più decomposta. Raccontarlo è impossibile, se non rifacendolo minuto per minuto, criticamente

strutturarlo o  destrutturarlo altrettanto complicato per la compattezza di un disegno drammaturgico che muta continuamente, per il luogo, il tempo, le relazioni sempre diverse, mantenendosi però profondamente fedele, come lo strumento sempre più perfezionato di un astronomo cui capitasse di osservarci, stupito e ingenuo, da un mondo lontano.
Scopriamo però, come il Monarca per sopportare le insidie del potere, di averne bisogno anche noi che re non siamo, di averne tutti una inesausta necessità per la sua capacità di farci vedere con la luce dell'arte scenica quello che siamo nel profondo e nel mondo condiviso, per non farci dimenticare ciò che di irriducibile ci fa essere uomini o donne ovvero esistere come umanità, una umanità che ci viene detto di dimenticare, affinché non sia di ostacolo ai meccanismi del potere e della produzione.
Alla fine questo è ciò che, con la dolcezza quasi infantile che percepiamo oltre le parole anche le più crude, gottesche o taglienti, la drammaturgia si propone di essere: un granello di sabbia caduto nel meccanismo che ci circonda e ci muove, capace forse anche di fermarlo per un momento, ma almeno in grado di farcelo per una volta 'vedere' mentre lo guardiamo.
Prima dello spettacolo, nel corso di una intensa e purtroppo non replicata giornata al Teatro della Tosse, abbiamo assistito anche alla proiezione del loro film “Samp”, girato in più momenti e premiato a Venezia, in cui una sorta di Don Chisciotte redivivo gira per la Puglia uccidendo “la tradizione” nelle persone, vecchi, giovani e bambini, che se ne fanno carico.
Un film dunque che in un certo senso, come un antico commentario, ci ha dato anticipatamente conto dello spettacolo seguito nella serata, mostrando la volontà di rompere ogni schema, anche quelli di una certa retorica della tradizione popolare, per scoprire quanto della nostra autenticità in esso viene irrigidito, irrigimentato e dunque perduto.
Sapientemente filtrato nel linguaggio cinematografico e poi teatrale, il dolore del nostro vivere si alimenta e così si riscatta nella gioia del ridere, umoristcamente allontanando la realtà per trasformarla in un gioco di progressive rivelazioni.
Ne sono evidenza e riscontro le prove dei protagonisti di quella realtà coinvolti e tanto complici di quel processo creativo che non recitano, come i pasoliniani attori presi dalla strada, bensì giocano, con i loro movimenti e le loro espressioni infantili, e giocare, lo sappiamo, è una forma alta del recitare per apprendere.
Diceva Marcel Proust che l'abitudine (e la tradizione spesso le somiglia) è uno dei modi che conosciamo per attenuare e sopportare il dolore di vivere, ma contemporaneamente e paradossalmente, come scrive un suo biografo, quella stessa abitudine: “uccide i nostri piaceri e le nostre gioie: ci fa vivere meno intensamente: ci nasconde l'universo reale e fantastico e i loro incantesimi: ci offre cibi più anonimi: indebolisce la nostra memoria: ci fa soffrire...Senza di lei, la vita diventa deliziosa: vediamo le cose con occhi nuovi, come un incessante miracolo, una continua opera d'arte”.
Uccidere la tradizione, dunque l'abitudine e con essa gli schematismi, è il modo che Rezza e Mastrella tentano di mostrarci per recuperare, artisticamente e teatralmente, un po' dell'autenticità e della sincerità perduta.
Rezza e Mastrella ci hanno infatti proposto di uscirne, almeno nel tempo breve di uno spettacolo teatrale o di un film, tentando di restare fuori (da ciò che noi dobbiamo essere per maschera e convenzione) almeno per un altro po' di tempo, quello necessario a riscoprire la parte nascosta di noi stessi.
Anche dando scandalo talora, creativamente e sempre positivamente se lo scandalo torna ad essere ciò che è etimologicamente, un inciampo che ci riscuote dalla nostra smemoratezza ormai diventata quasi patologica.
Tra film e spettacolo, tra “Samp” e “IO”, Rezza e Mastrella ci hanno quasi interrogati mentre si offrivano alle domande del pubblico. Ciò che ha colpito è questa loro ritrosia verso il consueto, verso il luogo comune, verso l'odierno politically correct delle differenze apparentemente negate ma in questo irrigidite, una ritrosia che si esprime nell'ambizione e nel desiderio che finalmente, al di là di ogni retorica, venga  riconosciuto un valore semplice come il talento (in arte e in ogni altro ambito).
Il talento può ritornare infatti ad essere un valore condiviso, che non divide in compartimenti stagni (anche in buona fede) ma unisce e ci rende comunità.
Non solo una utopia, pertanto, ma un obiettivo per cui lottare, a cominciare dalla riconquista degli spazi teatrali a Nettuno, per molti anni utilizzati per creare spettacoli che hanno girato tutto il nostro paese. Spazi valorizzati anche fisicamente e come noto purtroppo sottratti, con un pretesto, da un potere corrotto e mafioso che soffoca molte comunità in giro per l'Italia. Ci auguriamo che i nuovi amministratori sappiano fare ora le giuste valutazioni, perché di quegli spazi hanno bisogno Antonio Rezza e Flavia Mastrella, con coloro che in questi anni hanno lavorato con loro, ma soprattutto abbiamo bisogno tutti noi.
Due sole altre cose sono necessarie per aiutare questi e altri artisti come loro, la prima, da parte nostra, è quella di riempire i teatri dove si esibiscono, la seconda, da parte di tutti quelli che possono esserne responsabili, di far sì che vengano loro restituiti gli spazi necessari.
SAMP il film. (foto a sinistra di Eugenio Smith) Regia e sceneggiatura: Flavia Mastrella, Antonio Rezza
Cast: Antonio Rezza (Samp), Patrizia Puddu (Madre di Samp), Silvana Cionfoli (Barista), Andrea De Santis (Boss), Armando Novara (Armando), Maurizio Catania (Maurizio) , Francesco Artibani (Scozzese), Francesca Cogodda, Ferdinando Cocco (Zampognaro), Flavia Mastrella (Radha), Gamey Guilavohui (Gamey) e con Valerio Mastandrea (voce del Presidente) Fotografia: Flavia Mastrella Immagini: Flavia Mastrella, Antonio Rezza Montaggio: Barbara Faonio, Eugenio Smith Trucco: Francesca Mastrella Foto: Eugenio Smith, Scatti Collettivi Produttori: Flavia Mastrella, Antonio Rezza. Produzione: RezzaMastrella Distribuzione: Reading Bloom con Barz And Hippo.
Nella sala de “LaClaque” a Santagostino, il 5 febbraio ore 17.
IO (foto in apertura di Stefania Saltarelli) di Flavia Mastrella Antonio Rezza, con Antonio Rezza,quadri di scena Flavia Mastrella
(mai) scritto da Antonio Rezza, assistente alla creazione Massimo Camilli, luci e tecnica Daria Grispino, organizzazione generale Marta Gagliardi, macchinista Andrea Zanarini, prodotto da RezzaMastrella e La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello.
Nella sala Aldo Trionfo, dei Teatri di Santagostino ospite del Teatro della Tosse di Genova, alle 21.
Entrambi gli spettacoli hanno avuto un grande richiamo e hanno meritato un grande successo. In particolare è stato un piacere vedere un tutto esaurito come da tempo mancava, ed una platea diversificata ma tutta entusiasta, con applausi a scena aperta e finale ovazione.