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Parlare del presente, del nostro presente, essendo nel presente consente talora alla drammaturgia contemporanea, quando come in questo caso è sostenuta da un testo e da una scrittura di qualità, una sensibilità spesso più profonda rispetto a quanto permettano revisioni o riscritture di più o meno classici. Credo che in questo stia l'attrattiva della buona drammaturgia moderna nei confronti del pubblico che, nella sua complessità e nella sua diversità, anche ieri, e credo al di là dei nomi di richiamo, ha affollato la sala per questa messa in scena del testo del 2012 della già pluripremiata statunitense Johnna Adams. Un attrattiva ed una aspettativa che si fonda sulla nostra necessità, oggi più sentita che mai in questa società liquida come l'ha definita Baumann, di rintracciare un punto di caduta di giudizio e valore che ci consenta di non essere travolti e dispersi, e certamente l'arte e il teatro in particolare sono essenziali se non unici in questa ricerca. Ancor più quando la messa in scena è affidata

ad una regista esperta e molto in sintonia con i temi della drammaturgia contemporanea, come Serena Sinigaglia che ricordiamo anche, più volte, come regista di testi di Edoardo Erba, oggi uno dei drammaturghi italiani più meritatamente noto e rappresentato.
Tornando allo specifico di questa necessaria pièce, è come navigare nella nostra esistenza più o meno condivisa, nel respiro di un oggi in cui le dinamiche psicologiche e anche quelle estetiche sembrano rimbalzare tra i luoghi dell'omologazione, come può essere la scuola con la sua necessità di preservare un terreno comune anche quando questo scivola nel 'luogo comune', e quelli virtuali dei social ove, nel sempre attuale insegnamento di Renè Girard, precipita l'invidia sociale, momento forse costitutivo di ogni comunità ma che, in quella virtualità, è liberato senza più freni o contenimenti condivisi.
Si genera così una confusione, di valori e identità, in cui i più deboli o i più sensibili rischiano di perdersi e talora effettivamente si perdono.
La drammaturgia ha il merito di concentrarsi non tanto sull'esito, tragico e irreversibile, che coinvolge un bambino, capro espiatorio e anello debole di una catena sempre più violenta, quanto sul meccanismo sociale che lo produce, attraverso il linguaggio drammatico che con efficacia lo riproduce in scena.
In questa narrazione, in questo serrato dialogo tra la madre e la maestra, chi fosse il bambino sensibile e dotato che sceglie il suicidio, che fosse bullizzato o lui stesso un violento, in un certo senso sfugge rispetto al fatto che quel bambino si è trovato in quel luogo e in quel momento di una catena di rispecchiamenti che nessuno sembra più in grado di controllare.
Salvo che scelga, con la morte, di fuggire sulla “collina dei poeti” di un vecchio racconto medievale, poiché nel nostro tempo forse i poeti non possono più nascere e vivere.
Un bello spettacolo, ben diretto e messo in scena, in cui entrambe le protagoniste mostrano l'efficacia recitativa necessaria.
Produzione SOCIETÀ PER ATTORI, GOLDENART PRODUCTION. Versione italiana Vincenzo Manna e Edward Fortes. Regia Serena Sinigaglia. Interpreti Ambra Angiolini e Arianna Scommegna. Scene Maria Spazzi. Costumi Erika Carretta. Musiche Mauro Di Maggio e Federica Luna Vincenti. Light designer Roberta Faiolo. Aiuto regia Gabriele Scot.
Ospite del Teatro Nazionale di Genova, al teatro Gustavo Modena dal 9 al 13 febbraio. Molto applaudito.