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All'apparenza una drammaturgia con un côté storico, politico e sociale, impegnata a ripercorre e narrare eventi di ieri e di oggi. In realtà non sono quegli eventi il suo vero oggetto, bensì è il modo con cui noi, singolarmente o collettivamente intesi, abbiamo percezione di essi, in che modo quanto è storicamente accaduto ci ha attraversato, decantando anche silenziosamente nel profondo, in modi di essere e di pensare, in scelte consapevoli ovvero in riflessi inconsapevoli che ci compongono e determinano. In effetti lo spettacolo comincia da noi, da un (finto) uno di noi che quasi si risveglia in platea trovandosi a confronto con qualcosa che è stato ma ora sembra sfuggire, trasformato e ancora metamorfico, e che poi entra nella commedia della storia, nel teatro ovvero nel teatrino della Storia, con la esse apparentemente maiuscola. È l'ironia della drammaturgia che ricompone l'ironia della storia e dei suoi protagonisti, mentre si cambiano e travestono narrandosi, ma così facendo in teatro si

denudano nel profondo del loro significare (e del loro influire sulle vite di tutti e di ciascuno), con molta più efficacia di un trattato, storico o politico che sia.
Elvira Frosini e Daniele Timpano hanno questo modo caratteristico di narrare gli eventi, con sagacia e intelligenza appunto, senza tradirli, anzi con una fedeltà storica rara, ma traducendoli esteticamente in sorta di exempla che consentono, ci consentono, di costruire o meglio ri-costruire un giudizio che la modernità sembra avere dissolto e perduto.
Senza malinconia dunque o finta nostalgia, ma con la consapevolezza nascosta ma ancora presente nelle pieghe della memoria, tra Bastiglie e muri demoliti, Convenzioni repubblicane e conquiste napoleoniche in nome della libertà (?) dei popoli, tra Francia e Italia e quell'altra Europa in cui l'attuale si rispecchia.
Uno spettacolo importante e in un certo senso ancora necessario, per non fidarci di chi esalta la fine della storia nella libertà individuale nel mentre consolida le sempre nuove schiavitù di una Società sempre più diseguale.
Alla fine, partiti da noi, torniamo a loro che poi siamo sempre noi, con altri abiti e parrucche ma sempre con lo stesso desiderio di autenticità e di libertà.
Purtroppo non è usuale, oggi, che il teatro tenti di rompere con tanta efficacia, entrando a gamba tesa si potrebbe dire, la cappa di virtuale consuetudine e liquida omologazione, tra Bauman e Zuckerberg, che ci circonda, ma è come un respirare inatteso.
È dunque anche in questo una drammaturgia coraggiosa ed insieme complessa che, senza alcuna indulgenza banalizzante o semplificatoria, colpisce nel segno.
Infatti, scriveva Beckett, “l'abitudine è la catena che lega il cane al suo vomito”.
In scena Frosini e Timpano, dai modi e movimenti che ricordano la marionetta o super-marionetta di Gordon Craig, sono per la prima volta affiancati dal bravo Marco Cavalcoli, quell'uno (travestito) di noi che apre questa bella peripezia scenica.
Drammaturgia e regia Elvira Frosini e Daniele Timpano, collaborazione artistica David Lescot,
con Marco Cavalcoli, Elvira Frosini, Daniele Timpano. Assistenza alla regia e collaborazione artistica Francesca Blancato, disegno luci Omar Scala, scene e costumi Marta Montevecchi, musiche originali e progetto sonoro Lorenzo Danesin, produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Vincitore della Menzione Speciale ‘Franco Quadri’ nell’ambito del Premio Riccione 2019.
Al Teatro degli Impavidi di Sarzana, ospite della stagione di Fuori Luogo, il 10 e 11 febbraio. Molti applausi e sala discretamente gremita.