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È una drammaturgia che utilizza efficacemente i modi del più classico teatro inchiesta (a partire dalle interviste accuratamente catalogate) ma senza intenti statistici o prettamente sociologici, bensì per indagare le intimità che attraverso di esse si rivelano e dunque la intimità di ciascuno mentre si affaccia alla scena che le si apre davanti. Come ci dice il titolo, è il primo di tre capitoli e guarda al tempo ed al ricordo che, in sorta di ritrovamento proustiano tramite i gesti e i sapori, si articola attraverso il nostro rapporto con il cibo, nel suo essere soprattutto segno delle relazioni e dei ruoli familiari, che ci hanno fatto e che tuttora ci condizionano. Non solo, ma in fondo ci parla anche, forse soprattutto, della perdita del ricordo e della memoria che, talora a causa di una malattia, accompagna l'abbandono

della vita, quasi ne fosse una anticipazione, un pegno da pagare per transitare il fiume della morte. Una scrittura dai toni malinconici, a volte sembra piena di speranza, a volte si affaccia su una angoscia profonda che, come il cibo materno necessita di continua ma spesso inefficace elaborazione.
Buoni i movimenti scenici, con il continuo apparecchiare e sparecchiare che è come uno svolgere e riavvolgere il nastro della memoria, segno della fatica e spesso dell'inutilità di questo tentativo di recuperare noi stessi, i molti noi stessi che il protagonista porta con efficacia su di sé, anche diversi e contraddittori tra loro, nella ricostruzione di un tempo che è trascorso e rischia di perdersi per sempre.
Una drammaturgia giovane, era alla sua terza rappresentazione, di una compagnia altrettanto giovane e per questo, forse, ancora appesantita da qualche enfasi eccessiva, che si traduce in ripetizioni da limare, così da renderle più coerenti con la messa in scena nel suo complesso, ma comunque già meritevole e a cui auguriamo un futuro di repliche.
Scenografia e regia all'insegna della semplicità ma con suggestioni coerenti.
Ideazione  Collettivo l'Amalgama. Di e con Davide Pachera. Regia di Clara Roberta Mori.
Alla piccola e confortevole Sala Diana di Genova, ospite del Teatro Garage, sabato 12 febbraio. Un buon successo con presenza di pubblico.
Lo spettacolo è stato presentato nell'ambito del progetto “G.E.T. Giovani Eccellenze Teatrali” che la “Associazione LA CHASCONA” ha promosso, quasi un seguito del premio Intransito di recente e notevole successo, presso il Teatro Garage e che vedrà in scena altre due interessanti drammaturgie.
Qualche parola merita, e magari anche qualche altro stimolo e sostegno, questa attività della associazione a presidio delle giovani compagnie di teatro che oggi hanno molte più difficoltà di ieri a trovare anche un piccolo spazio. Tra laboratori e residenze La Chascona riesce spesso con efficacia ad aprire una strada a talenti che magari non hanno forza e legami, se non per emergere almeno per potersi proporre.
La collaborazione con il Teatro Garage, poi, che ha una notevole tradizione ma ha nel 2020 perso il suo promotore e storico regista Lorenzo Costa, risulta infine anche utile a preservare e incrementare la visibilità di uno spazio di teatro in un quartiere della città centrale e densamente popolato. Una sinergia che ci auguriamo sempre più produttiva.