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<<Forse, se andassimo più spesso a teatro, impareremmo a riacquistare fiducia nelle parole. Se andassimo a guardare, ad ascoltare e a fare domande. La mia ipotesi è che le cose hanno un significato ben preciso: che sono in un certo modo a prescindere da come noi sosteniamo che siano, e anche se questo non fosse vero, possiamo sempre comportarci come se lo fosse. “È così che vanno le cose su questo schifo di terra”>>. Sono parole di David Mamet, di cui questa drammaturgia non è forse tra le più conosciute, e ci ricordano un modo di fare teatro (talora anche cinema) che lo caratterizza: costruire senso e trarre significato profondo guardando e raccontando le cose che ci circondano, non sovrapponendo ad esse qualcosa che abbiamo preventivamente deciso. Il suo è uno sguardo

tagliente e disilluso ma non privo di speranza, e anche in questa pièce riesce a far esprimere un giudizio, direi, direttamente dagli eventi che racconta e dunque mostra che in fondo, nella differenza, ci può essere una possibilità.
Due uomini e due donne, nella Chicago del 1976, alle prese con i sentimenti, o meglio con il vuoto di sentimenti, ormai lontana eco di un passato che si vuole retorico o benpensante, e che con quel vuoto ingaggiano una guerra perenne, in fondo mostrando che tutto quell'individualismo, edonismo e finto essere liberi che viene propogandato in società non fa che dimostrare che ormai si va oltre lo stesso egocentrismo, per costruire una società ego-clastica, in cui, cioè, l'io si disperde e si dissocia occultandosi.
La libertà come vuoto, nel quale si espande quasi irresistibilmente l'incomprensione tra i sessi, ciascuno mostrandosi chiuso in una realtà autoreferente, una incomprensione sempre più bellicosa fino all'esplodere dei femminicidi dei nostri anni recenti.
Un testo che esplicita ed enfatizza una cacolalia falsamente liberatrice  e che man mano si trasforma in una catena che ci imprigiona rendendoci maschere figlie di un tempo omogeneo che schiaccia sincerità e singolarità.
Un testo ironico, in cui si sorride e si ride, e insieme tragico, il linguaggio di un tempo decadente.
Non un testo facile ma qui coerentemente messo in scena con una scenografia intelligente e una regia attenta. Una notazione intorno ai costumi, molto più datati anni settanta del necessario. Abiti più dell'oggi avrebbero forse meglio messo in evidenza la persistente attualità della narrazione. La recitazione da parte sua evidenzia un buon impegno e pur senza particolari scelte innovative un esito appropriato.
Nel complesso una scelta ed un progetto da apprezzare.
Produzione Outsider Line Company. Di David Mamet, regia Emanuela Rolla. Con Roberto Imparato,Ilaria Marano, Daniela Paola Rossi, Luca di Franco.
Alla sala Diana di Genova, ospite di Teatro Garage. Vista il 5 marzo. Applaudita.
Al termine, ricordando le vicende del corso su Dostoevskij alla Bicocca, un appello contro ogni censura anche e soprattutto in tempi di guerra.

Foto D'Aloisio Fotofish