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Questo, scritto da Luigi Gozzi e da lui stesso rappresentato la prima volta nel 1979, è un testo che potrei definire, sfruttando la grande 'elasticità del termine, sperimentale (soggettivamente e anche oggettivamente) sia da un punto di vista più generalmente drammaturgico che da quello più specificatamente linguistico e sintattico. È l'impressione che il drammaturgo ha del proprio scritto, ed è l'impressione che dunque suggerisce e comunica al lettore e allo spettatore, quando, sul primo versante, sovrappone e reciprocamente analogizza la rappresentazione drammatica con la seduta psicoanalitica, anche al di là del rispettivo contenuto di narrazione. E ancora di più lo è (sperimentale intendo) sul secondo versante proprio nelle parole che Luigi Gozzi utilizza nella postfazione della edizione a stampa del 1991 (in uno con l'altra pièce freudiana “La doppia vita di Anna O:”) e titolata appunto “La seduta terapeutica come situazione drammaturgica”: <<Quando ho scritto il “Freud e il caso di Dora”, a lasciare da parte gli interessi personali, volevo sfuggire alla odierna inevitabile costrizione tautologica del teatro, il quale o è in preda a una dimensione aprioristica dei propri mezzi (del

proprio luogo, occasione, attori, lingua ecc.) oppure si ritiene in dovere di troppo frequenti dichiarazioni metalinguistiche; anche se è probabile che la condizione sia comune alle altre arti, il teatro finisce per vivere tra l'illusione truccata di una autenticità e dichiarazioni troppo esplicite della propria falsa verità>>.
La psicoanalisi freudiana sembrava costituire per Gozzi, in entrambi i versanti, la giusta e opportuna sponda per cercare di districare le contraddizioni espressive e narrative che, a suo modo di vedere, si erano accartocciate sul teatro del tempo (ma anche su quello di oggi), avvitandosi intorno al concetto di verosimiglianza nel contrasto indissolubile tra verità e falsità, ovvero in quello, che lui riteneva più corretto, tra probabilità e casualità.
Offriva cioè la consapevole disponibilità di dinamiche, psicologiche e poi estetiche insite nel comune concetto di 'rappresentazione' nonché di 'elaborazione', utilizzabili nella costruzione drammaturgica e nella sua finalizzazione significativa.
D'altra parte se il teatro in generale, e la tragedia antica in particolare, era stato fondamentale per fornire materiale di senso, la grammatica più intima di buona parte della psicoanalisi, perchè la psicoanalisi, pensava forse il nostro drammaturgo, in un rapporto solo all'apparenza ribaltato non poteva fornire una sintassi, e una grammatica rinnovata nelle sue parole, a quella drammaturgia di cui si era servita?
Questo fa di “Freud e il caso di Dora” una scrittura quanto mai attuale, in forma e contenuti, e bene ha fatto Marinella Manicardi, che ne era stata attrice protagonista con Luigi Gozzi regista per la Compagnia T.N.E. (Teatro Nuova Edizione), a riproporlo per la sua stessa regia allo storico teatro delle Moline di Bologna.
È una regia che è testimone e custode di quelle suggestive intuizioni, recuperando la primitiva ambientazione in cui la scena è una sorta di labirinto verticale in cui spazi diversi, anche schermi video, comunicano per vie interiori e sovrappongono tempi dalle cadenze ritmiche, dando ciascuno di quegli spazi e di quei tempi innumerevoli corrispondenze, quasi a riprodurre anche figurativamente la pagina freudiana (parliamo dei suoi studi sull'Isteria) e ciò che suggerisce.
Guidate dalla sua mano si muovono sul palcoscenico, con tonalità recitative forse un po' più naturalistiche del passato, due attori giovani e di qualità che assecondano la ricerca di contemporaneità di una rilettura che possa fare ri-assaporare il testo già dalle sue fondamenta, dalle strutture estetiche fondanti.
Uno spettacolo che scorre fluido ed in cui non si puo' non riconoscere anche un giusto tributo che la regista non ha voluto far mancare nella sua messa in scena.
Condiviso al Teatro delle Moline di Bologna, dal 4 al 12 febbraio. Ripetuti applausi.

FREUD E IL CASO DI DORA (2023), regia, testo, spazio scenico, film, luci Luigi Gozzi, remise en scène Marinella Manicardi, assistente e collaboratore alla regia Davide Amadei, con Stefano Moretti e Alma Poli, musiche Gabriele Partisani, film Andrea Pavone Coppola, elaborazioni fotografiche Paolo Petrosino, video design Giuseppe Rado, tecnico video, audio, luci Salvatore Pulpito, riproduzione digitale film Home Movies, riproduzione digitale audio Eurovideo, Muce Cengic, produzione (1979) Teatro Nuova Edizione, produzione (2023) Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale in collaborazione con DamsLab e Biblioteca delle Arti, Università di Bologna archivi Teatro Nuova Edizione - Teatro delle Moline e Home movies Archivio nazionale del film di famiglia.

L'occasione per questa riedizione sono state le celebrazioni dei cinquant'anni del teatro delle Moline che hanno offerto il destro anche per una discussione sull'opera e gli studi di Luigi Gozzi, che delle Moline è stato fondatore, nel corso di un incontro dibattito nel foyer dell'Arena del Sole di Bologna, martedì 7 febbraio. Un incontro per omaggiare un luogo simbolico della città e il regista, docente e studioso scomparso nel 2008 e a cui sarà presto dedicato un luogo della sua città. Dopo i Saluti istituzionali di Elena Di Gioia, delegata del sindaco alla cultura di Bologna e Città metropolitana e di Valter Malosti direttore di ERT, sono intervenuti il professor Gerardo Guccini, i giornalisti e critici teatrali Gianni Manzella e Massimo Marino, e la manager culturale Cheti Corsini. Ha condotto Marinella Manicardi. Durante l’incontro sono stati proiettati video storici in collaborazione con DamsLab e Biblioteca delle Arti, Università di Bologna, Archivi Teatro Nuova Edizione – Teatro  delle Moline, Home movies Archivio nazionale del film di famiglia.