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Le vite degli uomini come traiettorie, ciascuna con il suo specifico mistero, con il suo soggettivo discorso, con la sua singolare narrazione, che si intersecano nel vuoto ed il cui unico modo di comunicare è, retoricamente parlando, l'equivoco. Ciò che ciascuno dice, secondo il suo discorso, è infatti interpretato dall'altro secondo la sua narrazione. Intorno, come detto, il vuoto di un universo, metafisico ed esistenziale, minacciosamente incombente, presagio di una (della) prossima catastrofe e insieme espressione di una prigionia invincibile, di un controllo superiore e supremo, evidente ma insieme sconosciuto, che come in 1984 di Orwell recupera quelle traiettorie dalla loro stessa esplosione al prezzo della loro (im)possibile libertà. La drammaturgia di Harold Pinter, nel suo complesso, ha profonde radici e suggestioni nel teatro dell'assurdo ma lo miscela, anche per corrispondenze e intrecci generazionali, con il teatro degli Arrabbiati anglosassoni. Questa sua piecè giovanile (è del 1957) porta, dunque, ancora con sé il desiderio, se non la forza, di una possibile ribellione, il disagio di una condizione umana senza senso, che non si vorrebbe accettare ma che siamo costretti ad accettare, quasi

che il prezzo dell'esistere fosse proprio la definitiva perdita della libertà del nostro soggettivo discorso esistenziale.
La vita ordinaria di due coniugi, e la pensione di provincia da loro gestita, è la molto britannica normalità (in fondo il rovescio di una qualunque Miss Marple) che ci viene proposta e che diventa il primo segnale della sua stessa assurdità.
Un unico pensionante che vive nel timore di essere rintracciato, catturato e riportato indietro, indietro dove non si sa. Due messaggeri e testimoni della catastrofe prossima e ventura che giungono e ne spezzano la fuga e l'ultima ribellione (un amore violento e improvviso quasi uno stupro), fino a farne un manichino senza parole, una mente senza logos quale il potere richiede e ci impone.
Come in un déjà vu, così tutto può ricomporsi e la vita può proseguire con le sue reiterazioni, mettendo di nuovo insieme i cocci slabbrati dell'apparenza.
Il Compleanno è una drammaturgia di straordinaria attualità che la regia di Peter Stein, nella sua quasi pignola fedeltà, in un certo senso abbandona sulla scena, una scena il cui esasperato naturalismo è il primo passo per andare oltre se stessa, per immaginare e solo immaginare al di là quelle finestre vuote un mondo che va per conto suo e di cui siamo, come sempre, pallide eco, semplici riflessi in uno specchio.
Una regia, dunque, consapevolmente neutrale fatta apposta per cercare di liberare la forza eversiva che ancora percorre il testo di Harold Pinter, e le sue parole. Sono, queste, parole che, come la scena che le accoglie, fanno della loro 'normalità' il segnale di una sempre più mancata aderenza e corrispondenza ad ogni tipo di possibile discorso 'sincero', ma che il teatro almeno riesce ancora a mostrare nella loro incongruità rispetto a ciò che vorrebbero dire, rispetto al discorso che percorre ciascuno dei personaggi.
La vita alla fine ci offre dunque, shakespearianamente, solo un fondale di palcoscenico dentro cui recitare, e ne è evidenza la scelta espressiva degli attori che usano la loro maschera, enfatizzandone talora i toni quasi a spezzarne ogni equivoco naturalismo, per cercare di infrangere il confine di una verità che sfugge.
Ci saremmo forse aspettati da Peter Stein un intervento registico di più profonda revisione, ma forse la sua scelta di neutralità rispetto alle suggestioni e alle contraddizioni del testo, enigmatico quasi fosse un sillogismo senza sintesi ma fatto solo di tesi e antitesi, è la migliore rappresentazione di quella rinuncia a capire, che il testo stesso, e le sue domande continuamente ri-aperte, in fondo suggerisce.
Un buon spettacolo, intelletualmente complesso e spesso urticante, ancora capace per questo di creare perplessità e anche confusione, soprattutto nel pubblico più giovane, e al cui fluire coerente giova la moderna traduzione di Alessandra Serra.

Al teatro Eleonora Duse, ospite del Teatro Nazionale di Genova il dal 21 al 23 febbraio. Alla prima il teatro quasi pieno ha a lungo applaudito.
IL COMPLEANNO di Harold Pinter. Regia Peter Stein con Maddalena Crippa, Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci, Fernando Maraghini, Alessandro Sampaoli, Emilia Scatigno. Versione italiana Alessandra Serra, scene Ferdinand Woegerbauer, costumi Anna Maria Heinreich, luci Andrea Violato. Produzione TieffeTeatro Milano, TSV – Teatro Nazionale, Viola Produzioni