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Una madre, una figlia. Una donna semplice, una madre che accudisce, da sola e con stenti, la sua bambina, poi un banalissimo incidente domestico: la bambina giocava con la sua Barbie, la madre era tutta intenta alla sua macchina da cucire, una caduta ed ecco che la vita della bambina resta incagliata per sempre, che quel sorridente concentrato di amore, di gioia, di luce, di bellezza bambina diventa poco più che un corpo da pulire e nutrire con devozione per dieci lunghissimi anni di coma. L’irrompere crudele della morte nella vita. Ecco una casa modesta e dimessa, le pareti sbrecciate, una casa che, chiusa dall’interno, diventa auto-isolamento assoluto, carcere asfittico, trincea silenziosa, simulacro domestico, bunker, ma soprattutto luogo di immaginazione folle certo, set di un dialogo malato, pietoso, difesa estrema dalla lama del dolore. Arriva il momento di staccare la spina, è inevitabile perché davvero non c’è più niente da fare, e tocca proprio a lei farlo, a lei madre, non può che toccare a lei. A quel

punto nessuno, davvero nessuno verrà a salvarle, madre e figlia: nessun amico, nessun medico, nessun alieno, nessuna “auto-nave spaziale” verrà a portarle via, a portarle in un luogo di gioia senza tempo, di riparazione dal dolore, d’immaginazione che guarisce e si fa vita. Il pubblico, pur interpellato, sollecitato, chiamato ripetutamente in causa, resterà fermo, sentirà nel corpo tutta la sua impotenza, la separazione assoluta tra il vissuto del dolore e la contemplazione estetica, per quanto accorata ed empatica, del dolore e della morte. È questa, in brevissima sintesi, la sostanza drammaturgica di “Se sono rose moriranno” lo spettacolo strepitoso di Rosario Palazzolo, prodotto dal Teatro Biondo che si è visto in scena dal 15 al 25 febbraio nella Sala Strehler dello Stabile palermitano. In scena ci sono Simona Malato (Adele, la madre) e Chiara Peritore (Luisa, la bambina), mentre Delia Calò, seduta tra gli spettatori, è presente e attiva come voce fuori scena (una psicologa probabilmente). Sono tutte interpreti molto brave ma, ovviamente, una notazione va a Simona Malato che dona verità, forza e tensione al personaggio di Adele, confrontandosi con l’impervia cifra stilistica del linguaggio di Palazzolo. Le scene e i costumi sono di Mela Dell’Erba, le musiche - originali e di grande sensibilità - sono di Gianluca Misiti, le luci di Gabriele Gugliara. Uno spettacolo bellissimo, emozionante e complesso che non a caso si è guadagnato, immediatamente e a furor di pubblico, altre repliche dal 16 al 19 marzo. Tuttavia, nel dirne ogni bene, non bisogna cadere nella trappola che il drammaturgo/regista tende agli spettatori: lo spettacolo sollecita fortissimamente l’emozione e l’empatia del pubblico sulla storia di quella madre disgraziata, ma il suo focus artistico è altrove. Il focus è l’immaginazione malata che, generata e sollecitata dal dolore, occupa militarmente il tempo («...il passato che non passa, il futuro che non arriva...»), che può invadere il lutto e avvelenarlo, può separarci dalla realtà, eliminare la presenza, sempre assurda e scandalosa, della morte dal vissuto quotidiano, può alienarci definitivamente da noi stessi. Questo il nodo concettuale da cui si dipanano tutte le linee dello spettacolo. E poi, certo, la lingua caratteristica di questo autore/regista/teatrante: concreta e immaginifica insieme, ma soprattutto attraversata da quel particolarissimo impasto di alto e di basso, di colto e di popolare, di consapevole e di automatico, di letterario e di parlato/dialettale, che sembra combattere su ogni parola una definitiva ed esiziale battaglia di verità, di senso e di storia. Una cifra stilistica ormai matura e acquisita definitivamente che sfida attori e pubblico. Basta un esempio: quanta storia e geografia del nostro paese passa, e quanta può passarne, nel rinominare l’enciclopedia De Agostini “la ciclopedia di (o del signor) Agostino”? Quanta politica, quanta società, quanto novecento, quanta consapevolezza, quanta cultura popolare e di massa, quanto riscatto culturale? Ed è veramente così per ogni parola e per ogni sintagma, in uno straordinario pastiche comico e antinaturalistico che è tanto saporito quanto raffinato.

Se sono fiori moriranno
Primo atto di un “Dittico del sabotaggio” Palermo, dal 15 al 26 febbraio 2023, Teatro Biondo - Sala Strehler. Prima assoluta. Di Rosario Palazzolo, scene e costumi di Mela Dell’Erba, musiche originali di Gianluca Misiti, light designer Gabriele Gugliara. Con Simona Malato, Chiara Peritore e la voce di Delia Calò. Regia di Rosario Palazzolo, produzione Teatro Biondo Palermo.

Crediti fotografici: Rosellina Garbo