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Nel 2017 avevamo osservato con attenzione Sergio Del Prete il quale, insieme a Roberto Solofria, aveva colpito il pubblico con lo spettacolo CHIROMANTICA ODE TELEFONICA AGLI ABBANDONATI AMORI, testo creato attraverso la lettura e l’ispirazione dettate dagli splendidi capolavori di Enzo Moscato, Giuseppe Patroni Griffi, Annibale Ruccello, Francesco Silvestri. Il successo di questo spettacolo, visto sei anni fa al Teatro Bellini di Napoli, aveva sollevato interesse anche nei confronti del giovane attore, artista in verità di esperienza, che aveva regalato al pubblico una prova intensa. Dopo qualche anno, ritroviamo Del Prete non solo come interprete, ma anche come autore, attraverso un allestimento scenico che, in parte, ricorda le ambientazioni di CHIROMANTICA, ma che sembra esplodere sul palcoscenico come un’urgenza interiore e personale. È evidente, infatti, che questo testo, monologo interiore e flusso di coscienza, rappresenti una necessità: l’attore/autore si mette a nudo davanti al suo

pubblico, spogliandosi degli orpelli indossati quotidianamente e mostrando agli spettatori un dolore. Del Prete si fa dunque portatore di una riflessione dolorosissima che accompagna ogni spettatore e che lo colpisce a fondo. Apparentemente racconto biografico, in realtà il discorso via via mescola la narrazione di piccoli episodi ad una riflessione sulla vita e sulla morte, sull’essenza del vivere e del sopravvivere. Tutto il discorso gira attorno all’unica grande protagonista che è, in verità, la solitudine, o meglio, il mancato amore che conduce alla solitudine, voluta, dovuta o casuale.
Il lungo titolo presenta un punto al centro: scelta importante, in quanto lo spettatore, dopo la visione dello spettacolo comprende il percorso di vita rappresentato da un semplice segno di punteggiatura. Lo sconosciuto è un fratello mai nato, nominato da una madre che si scontra con il marito e che, in un momento di rabbia, rivela un aborto precedente alla nascita del nostro protagonista.  Il punto mette fine ad un discorso, lo sconosciuto rimane tale, pertanto si attende un’apertura. Dopo il punto, ecco dunque l’attesa di rinascita. Il problema fondamentale della rinascita è il domandarsi se davvero si desidera rinascere, in che modo si vuole rinascere e il perché. Tutti questi interrogativi emergono come un fiume in piena all’interno delle riflessioni in scena, intervallate dalla narrazione di momenti di vita in cui emerge prepotente la solitudine. Il protagonista si chiede perché la madre abbia portato avanti la seconda gravidanza, perché la casualità o la decisione di un singolo possano cambiare la vita di una persona.
Il palcoscenico è buio ed è delimitato e ristretto ad un’area ben precisa, evidenziata da luci neon che, poggiate a terra, descrivono un quadrato. Un lato è caratterizzato da un’uscita-tunnel che mette in contatto con l’esterno, il mondo, e l’interno di questo quadrato appare come una sorta di utero- contenitore in cui si ritrova e si rifugia il protagonista, in cui si spoglia via via non solo degli abiti, ma anche delle paure più segrete, mettendo in luce interrogativi enormi.
La prima scena vede l’attore correre all’esterno di questo spazio delimitato, intonando varie tipologie di risata che sembrano raccontare sonoramente e visivamente il percorso di vita, come una pellicola che scorre a ritroso e che sembra incepparsi sempre nello stesso punto, cioè il momento in cui viene pronunciata la frase in cui la madre rivela l’aborto.
L’attore è accompagnato e sostenuto dalle elaborazioni sonore e dalle musiche dal vivo di Francesco Santagata, musicista poliedrico che negli ultimi anni ha mostrato una crescita positiva, lavorando anche sulla sperimentazione musicale integrata alla messinscena teatrale. Già osservato nello spettacolo del 2018, CELESTE, firmato dal drammaturgo e regista Fabio Pisano, Santagata riesce a ricreare un elegante racconto sonoro e musicale che si integra perfettamente con la recitazione, sostenendola nei momenti di maggiore tensione.
Anche in questo testo, la drammaturgia meridionale presenta l’assenza di un padre. Ancora una volta, inoltre, la madre sembra costituire il perno fondamentale attorno a cui ruotano l’amore, la solitudine, il dolore e la morte. Ancora una volta la morte di un figlio e i genitori che sopravvivono: il figlio che sopravvive, però, appare sofferente a causa di una famiglia manchevole. Il protagonista si chiede, e chiede al fratello non nato, se forse è stato costretto alla vita a causa di questa mancata nascita.
L’impatto con il pubblico di Sala Assoli, teatro napoletano in cui lo spettacolo è andato in scena l’1 e 2 aprile, è fortissimo: presenti molti artisti e attori, pubblico commosso, lunghi applausi.
L’interpretazione di Del Prete è intensa e a tratti emerge qualcosa di fortemente personale che lo rende vulnerabile sulla scena. Il testo è caratterizzato da fitte battute, ricche di parole, di accelerazioni e di rallentamenti, ma si notano poche pause, cosicché l’attore è costretto a lunghissime tirate che tolgono il fiato. Il discorso, a volte, sembra tornare ostinatamente su alcuni punti e su alcune battute, reso quindi ripetitivo in alcuni passaggi, dimostrando gli ossessivi interrogativi che si pone il protagonista e autore.
Emergono anche alcuni momenti di dialogo, tra il nostro protagonista e Marta, la massaggiatrice/prostituta con la quale riesce a parlare di vita, di morte, di amore e, soprattutto, di solitudine. L’immagine della donna è creata attraverso le parole, in quanto l’attore costruisce tutto il racconto da solo e non è affiancato da altri attori: l’abbraccio solitario con la donna sembra immaginario. L’attore stringe sé stesso in un abbraccio simbolico che rappresenta la scena emblematica di tutto lo spettacolo. La figura materna è artefice di vita e di morte, la figura femminile sostituisce quella materna, ma sembra svanire tra le braccia dell’attore, come quando Ulisse cercò di abbracciare per tre volte la madre, nel famoso passo dell’Odissea.

Foto di Alessandra Bovino

SCONOSCIUTO. IN ATTESA DI RINASCITA
Sala Assoli Napoli 1-2 aprile 2023
scritto diretto e interpretato da Sergio Del Prete
elaborazioni sonore e musiche dal vivo Francesco Santagata
scene e disegno luci Carmine De Mizio
costumi Rosario Martone
organizzazione Napoleone Zavatto
foto di scena Pepe Russo
aiuto regia Raffaele Ausiello
con il sostegno de L’Asilo – Ex Asilo Filangieri
debutto al Campania Teatro Festival 2021