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Proiettare la realtà sullo schermo del sogno e della fiaba e trascriverla in quelle lingue è un modo per svelarne e rivelarne i risvolti essenziali, universali ed anche eterni che nella loro incarnazione storica inevitabilmente decadono. Il bel testo di Marco Gobetti, visto al Fringe Festival di Torino, parte da un dato di realtà, la vita di due giovani e la sua tragica fine in un contesto di tensioni e pratiche sociali che cercano di opporsi alla deriva stancamente e grettamente economicista che caratterizza la nostra società, post-capitalista nel senso che il potere ha ormai sottratto la sua stessa visibilità, nascondendosi nella confusione e nella opacità dei comportamenti e delle relazioni, sempre più indotti ed eterodiretti proprio nella loro apparente libertà. Non manca di prendere una posizione, che è anche sociale e politica nel suo senso migliore, ma, attraverso la concretezza esistenziale di due percorsi che diventano man mano paradigmatici, la trasfigura esteticamente così da paradossalmente potenziarne proprio le ricadute collettive, fornendo elementi di comprensione, di significanza metaforica e infine di giudizio che quella stessa comunità ha perso o rischia di perdere. Sole e Baleno sono due giovani che nella

realtà hanno vissuto e perduto, soccombendo alla forza di un potere economico che dispone di quelle stesse vite, e delle nostre, e impone scelte che vedremmo nefaste e negative se non fossimo sommersi da falsità ideologiche e ricatti economici di fronte ai quali, va detto, purtroppo spesso ci ritroviamo soli anche se numerosi.
Si parla, con una evidenza che non è limitata ma è anzi enfatizzata nel suo essere tra le righe della trama drammaturgica, della Val Susa e delle ricadute che su quel territorio e la sua comunità precipitano dalla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità (la 'famosa' T.A.V.) che vuole attraversarla.
All'interno di una diffusa opposizione a quella scelta, vivono inevitabilmente esperienze e sensibilità diverse, forse accomunate dal desiderio di sperimentare una alternativa convivenza con la natura, che non sia solo sfruttamento ma anche fusione e reciproca salvezza dagli esiti di una vita metropolitana che si è fatta falsa, incomprensibile e per questo mal sopportata e, in taluni, quasi intollerabilmente dolorosa. Come non ricordare in proposito il duro film di Rodrigo Sorogoyen “As Bestas”.
Molte le definizioni che corrono intorno a tutto ciò, transizione ecologica, salvezza del pianeta, in sintesi libertà e 'futuro', cui nella percezione collettiva spesso vengono artatamente, e colpevolmente, contrapposte definizioni opposte, eco-terroristi, anarco-insurrezionalisti nemici dello sviluppo e quant'altro, da chi difende e sfrutta un presente cui non si dà orizzonte.
Il testo nasce inizialmente con l'abbinamento del dialogo iniziale con un monologo finale ma, anche attraverso il contributo dei due attori protagonisti che per questo ne firmano la co-direzione, si trasforma tutto in un dialogo che struttura una piena drammaturgia.
Una drammaturgia, tra l'altro, intensamente lirica che si sviluppa su due piani speculari, contrapposti e insieme coerenti l'uno all'altro fino a profondamente integrarsi, il sogno dei due protagonisti mascherati dentro un carnevale, da sempre il tempo della possibilità di critica e della volontà di contrapposizione del popolo al potere, e la fiaba che il vecchio narra al bambino e che di quel sogno è in fondo la 'morale'.
La loro fusione nel transito scenico è il mezzo, la faglia significativa, attraverso il quale la realtà irrompe sulla scena avendo però i mezzi estetici per essere compresa e elaborata, per non rimanere fine a sé stessa ma diventare invece 'fruttuosa' come un campo ben coltivato.
La scelta di far interpretare i quattro personaggi da due soli attori, un uomo e una donna, rende esplicita sulla scena questa fusione di elementi interpretativi, dando anche un po' di tardiva giustizia a coloro che quella storia hanno ispirato.
Due giovani come tanti ma dalla rara sensibilità esistenziale, Maria Soledad Rosas argentina detta “Sole” e Edoardo Massari, valligiano di Valchiusella, detto “Baleno”, ingiustamente accusati e nel 1998 incarcerati con il loro compagno Silvano Pellissero, infine morti per suicidio, a pochi mesi l'uno dall'altro, durante quella ingiusta prigionia che ha rubato loro la speranza.
Un bel testo, di grande forza drammatica che i due attori protagonisti, Laura Ponzone e Simone Falloppa, recitano con convinzione e partecipazione, cercando i toni adatti alla trasfigurazione scenica di eventi che hanno dentro di sé la tragedia, e, pur accusando inevitabilmente le tensioni e le difficoltà di ogni primo incontro con il pubblico, riescono così, con quello che è in fondo pudore o anche delicatezza interpretativa, a farcene partecipi con spontaneità.
La messa in scena, in un ambiente scenico assai particolare (quello che a Torino chiamano l'ormai abbandonato “Cimitero degli Impiccati”) e, ridefinito autonomamente dalla efficace direzione luci di Alessandro Bigatti, ulteriormente suggestionante, privilegia la relazione con il pubblico, in una fusione che è coinvolgimento emotivo ma anche distanziamento critico.
Al “Torino Fringe Festival” dal 16 al 21 maggio. Molto partecipato e applaudito.
Un Carnevale per Sole e Baleno, testo Marco Gobetti, con Laura Pozone, Simone Faloppa, co-direzione Faloppa, Gobetti, Pozone, disegno luci Alessandro Bigatti, maschere Andrea Cavarra, suoni Circolo Alekseev, Lorenzo Crippa, produzione Aparte - ali per l'arte in collaborazione con Lo stagno di Goethe – ETS, si ringrazia Campsirago Residenza.