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Il SUQ Festival, nato oltre vent'anni fa da una intelligente intuizione di Carla Peirolero sempre coadiuvata da Alberto Lasso, è in fondo una scommessa, una scommessa vinta se si guarda agli esiti e alle suggestive risonanze e conoscenze che ha

suggerito e alimentato, ma anche una scommessa ancora aperta se si guarda invece al tempo dell'oggi che sembra voler mettere in scacco il suo spirito, richiamando e purtroppo sdoganando temperie e ideologie che pensavamo o speravamo, se non superate, almeno messe in discussione. Prima tra i medioevali palazzi e i “Banchi” del Centro Storico di Genova e ora al centro, anche fisico, del suo “Porto Antico” riaperto dalla creatività di Renzo Piano, SUQ continua però a sondare instancabile e a mettere alla prova lo spirito della sua città, qui specchio della Storia che muta sé stessa e noi, da sempre attraversata da gente e commerci di ogni dove ma insieme, e paradossalmente, sempre tentata dal rinchiudere come in una ostrica i suoi tesori, non tanto artistici quanto di Umanità. Come ogni anno il Festival di Teatro è parte di un evento più articolato, tra mostre e mercati esotici e anche esoterici tra Oriente, Medio Oriente e Africa, dal Maghreb all'oltre Sahara, essendone quasi custodito e proprio per tutto ciò è come una finestra che ne svela, attraverso i suoi spettacoli, intenzioni e desideri.
È questo ad esempio il caso di “La luce intorno”, drammaturgia di Nicola Bonazzi interpretata con passione da Micaela Casalboni, andata in scena sull'Isola delle Chiatte, ancorata sul mare al centro propriamente fisico di quella parte del porto attorno a cui la città, di luci illuminata che degrada dolce dalle sue colline, sembra ruotare come una giostra immobile.
Non è solo un racconto teatrale, nello spirito più sincero del teatro di narrazione, è anch'esso un girovagare tra le parole, quelle parole che quasi magicamente come nelle migliori fiabe trascinano con sè lo spirito della vita che ci riempie, e ci fa ospiti di un mondo che non è nostro eppure in molti vogliono usurpare.
È soprattutto un confronto tra noi e un giovane del Togo (ma anche del Benin) che antiche e cattive stregonerie della sua terra hanno reso, a sua stessa insaputa, 'maledetto' e che camminando e viaggiando, tra pensieri e deserti, tra strade e officine, cerca il suo riscatto fino a giungere qui per far conoscere la sua storia, perché, come ci ricorda la narrazione, ognuno di noi è la sua storia e se  qualcuno vuole o ha bisogno di riscattarsi deve innanzitutto 'aggiustare' la sua storia.
Ma come il passato si sovrappone al senso del presente e all'aspettativa del futuro, così la storia di Sekou, è questo il nome del nostro instancabile fuggitivo, si sovrappone alla vicenda esistenziale, dall'infanzia a ora, della narratrice e dei suoi compagni di viaggio sulla strada del teatro, mostrando come quello che sembra diverso e molto lontano da noi, alla fine non è che un modo diverso per raccontare, con parole all'apparenza distanti, la medesima storia e la medesima vita.
Uno spettacolo che vive di una suggestione profonda, che racconta la sociologia, spesso freddamente razionale e dunque inefficace, come una fiaba, calda e umana, così calda e umana da stemperare l'asprezza e la cattiveria del mondo che la(ci) circonda, un mondo che forse abbiamo voluto e costruito ma non ci immaginavamo fosse così.
Il migrante dunque come una condizione esistenziale, tra l'ontologico e il metafisico, che oggi sembra vissuta solo sotto il segno del rifiuto, anche quando si ammanta di pelosa assistenza, un rifiuto che l'Europa si rimpalla come un cerino acceso per non scottarsi le dita.
Ma anche una condizione che, in qualche modo questa drammaturgia ce lo dice, ci può salvare se cominceremo a capire come salvare i migranti, nella forma che oggi hanno, uguale al passato ma deformata dal nostro egoismo.
La scena è uno spazio aperto in mezzo al mare, mosso dalle onde di navi che vanno e che vengono da lidi lontani o vicini, e dentro questo spazio a dare orizzonte al racconto e insieme agio e ritmo coerente alla narratrice, si muovono gli autòmata e le suggestive, bellissime, creazioni in legno di Giovanni Dispenza, dai tratti appena accennati eppure straordinariamente espressive quando entrano in scena.
Uno spettacolo che conferma lo sguardo, che sa guardare e soprattutto sa vedere lontano, del Teatro dell'Argine che l'ha prodotto in una continuità estetica capace di trasfigurare il presente senza abbandonarlo a sé stesso e lontano da noi.
All'Isola delle Chiatte del Porto Antico di Genova, per la rassegna “Teatro del dialogo” nell'ambito della venticinquesima edizione del SUQ Festival, il 21 giugno. Il pubblico era tutto quello che quel non grande spazio poteva accogliere ed ha applaudito convintamente, anche durante la rappresentazione.
“La luce intorno” di Nicola Bonazzi con Micaela Casalboni, che insieme ne curano la regia. Prodotto dal Teatro dell’Argine di Bologna.