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I mostri sacri della letteratura, soprattutto quando sono legati a doppio filo alle trame della Storia con Capitol C , sono spesso immolati sull’altare del dio sanguinario di nome “tempi che cambiano”. E i tempi sono proprio cambiati da quando il giovane

Majakovskij divenne la voce poetica della rivoluzione russa. Era avanguardia pura, quella parola così energica e tagliente che sanciva la nascita del Futurismo russo. La fiducia nel domani e nel cambiamento, la fede nel ruolo dell’intellettuale al servizio della causa politica, nell’utopica realizzazione di un mondo migliore. Poi la storia seguì il proprio corso, la rivoluzione proletaria rivenne dittatura repressiva, la diffidenza staliniana verso gli intellettuali – questo intellettuale segnatamente – sancì la fine dell’incantesimo. Proprio da qui prende le mosse il testo teatrale in scena al Franco Parenti fino al 2 dicembre 2023, “Majakovskij – L’incidente è chiuso”, di Daniele Abbado, Giuliano Corti, Luca Scarzella (per la regia dello stesso Abbado).
Liberamente costruito sui testi del poeta russo, impreziosito da proiezioni video che lo ritraggono, affida a Giovanna Bozzolo il compito di guidarci a ritroso in quell’esistenza tormentata. Si comincia da un colpo di pistola con cui Majakovskij trapassò il proprio cuore, mettendo fine metaforicamente alla sorgente della sua poesia stessa. Un poeta deluso e disilluso, ferito dall’amore ma demolito dalla consapevolezza che la genuinità degli ideali rivoluzionari giovanili era stata tradita dalla prassi, dall’istituzione, dalla real politik. Cosa ne resta di quell’argentina energia vitale che ha attraversato come un fulmine i suoi testi poetici?
Così lontano dal nostro gusto crepuscolare-intimista allergico alla poesia engagé, Majakovskij è il prototipo dell’esatto opposto. L’animo tormentato si nutre di tempesta e impeto per guidare le masse, farle riflettere, dar loro le parole. Poi arriva l’amore che rimette a posto ogni cosa dell’esistenza, anche della più pubblica e celebrata. L’uomo che amava le donne viene ferito proprio dal naufragio di un amore più speciale degli altri e non reggerà il colpo. 
Svestito dell’uniforme del Poeta vate della rivoluzione e rivestito di singolare umanità, questa operazione di empatia funziona, riconduce la questione ai minimi termini di un uomo alle prese con la propria anima. E’ una riscoperta di cui c’è bisogno, la sottrazione dalle tendenze del tempo che passa, la salvezza della voce poetica dal contingente per leggerla in valore assoluto e senza l’interferenza interpretativa della storia. Se oggi tutto è contesto, vale la pena liberarsi da questa gabbia interpretativa proprio per autori come questo, che rischiano la sepoltura troppo presto proprio da quello stesso contesto che li ha generati.
L’allestimento è scarno, la Bozzolo volteggia tra proiezioni video e letture di versi in un flusso di coscienza che tratteggia efficacemente il Poeta ma soprattutto rende merito all’uomo, quello che travalica i decenni.
Non un reading, non una lettura scenica, non una pièce tout court. Una forma ibrida, un bozzetto non già celebrativo quanto più disvelatore di uno di quei mostri sacri che il loro stesso cognome ha avvolto nell’ombra dell’irrilevanza agli occhi dei più.
A che servono questi quadretti biografico-emotivi? Non principalmente a rendere omaggio, piuttosto a non smettere di narrare ancora, di (ri)scoprire l’antenato che parlava alle masse e che ora rischierebbe di poter solo tacere.