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Sabato sera, 13 gennaio 2024, il teatro Trianon di Napoli era gremito di gente: in scena “ ’O cafè ’e notte e ghiuorno” e “ ’Nterra ’a  ’Mmaculatella (Scalo marittimo)”, due atti unici di Raffaele Viviani, per la regia di Nello Mascia, con un cast

numerosissimo e con le musiche dal vivo di Mariano Bellopede, produzione Teatro Trianon. Il primo atto si conclude rivelando un grande entusiasmo del pubblico e, in verità, non posso esimermi dal congratularmi per l’ottimo prodotto presentato in scena. Sapevo già che “Scalo Marittimo” avrebbe commosso fortemente il pubblico, grazie anche all’escamotage scenico di riprodurre la prua della nave sulle balconate del teatro, come se fossero quelle del grande vapore su cui avrebbero navigato gli emigranti del Sud Italia, utilizzando invece il palco come molo su cui si avvicendano gli attori e i personaggi in procinto di partire. I due mondi e i due punti di vista si agganciano tra loro attraverso un ponte di legno che abbatte la quarta parte e che rende gli spettatori mare su cui galleggia simbolicamente la grande nave della speranza. La mia visione di “Scalo Marittimo” è preceduta dalla notizia, breve e concisa, che si diffonde sulla rete: Enzo Moscato ci ha lasciati. La compagnia di Nello Mascia non ha idea di cosa sia accaduto e lo spettacolo va avanti. Commozione ed emozione si mescolano negli animi di chi ha riattivato il cellulare durante la pausa tra i due atti e ha scoperto l’amara notizia.
Due grandi autori e attori, Viviani e Moscato, si fondono nei nostri applausi, quella sera e, soprattutto, nei miei ricordi, ed è proprio in quel momento che sento Enzo Moscato vivo più che mai, cioè attraverso le vibrazioni della scena. Descritti nei volumi e nei manuali di storia del teatro, questi due autori erano per me, durante gli anni di studi universitari catanesi, una scoperta costante, complessa, non solo per la lingua, ma soprattutto per quell’immersione nelle viscere di Napoli, potentissima, che io ho percepito solo vivendo nella città partenopea e che si rivelano costantemente attraverso le loro parole.
Il primo spettacolo di Enzo Moscato che ho visto a Napoli risale al 2010 ed era Pièce Noire, in scena presso il teatro San Ferdinando: uno sconvolgimento visivo, un’immersione totalizzante, un’euforia terribile. Questo spettacolo rappresentava il mio vero battesimo a Napoli e nella Napoli teatrale. Mi ero avvicinata al mondo degli esclusi, degli emarginati, degli appartamenti serrati, dei vicoli bui e maleodoranti, alle immagini dei Femminielli, così importanti per la cultura campana e di tutto il Sud, al sacro e profano che percepivo continuamente anche nella mia cultura siciliana di origine, attraverso lo studio intrapreso durante la tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Catania. La prof.ssa Stefania Rimini mi propose un approfondimento su “Ferdinando” di Annibale Ruccello, che nel 2006 era andato in scena a Catania con grande successo, sconosciuto a noi studenti siciliani. La mia correlatrice, in accordo con il mio relatore, il prof. Fernando Gioviale, mi condusse nei meandri della Nuova Drammaturgia Napoletana. Ruccello mi piacque e mi incuriosì subito, ma non bastava “Ferdinando”: dovevo leggere tutto. Ma non bastava ancora. Chi era il drammaturgo Enzo Moscato, amico di Ruccello, esponente di questo gruppo rivoluzionario, autore-attore che alcuni studenti avevano studiato e analizzato all’interno delle tesi di laurea presentate nelle sessioni precedenti? Cercai di recuperare libri, cd, dvd, contattai la Compagnia degli Ipocriti e tutto questo materiale arrivò in Sicilia e ancora oggi per me è preziosa reliquia.
Ho conosciuto il Maestro, come era chiamato affettuosamente e con grande ammirazione dagli studenti e dai seminaristi invitati presso il Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, quando cominciai il dottorato presso l’Università degli Studi di Salerno, intorno al 2013. Mi resi subito conto che ero fortunata perché avevo davanti Enzo Moscato che, con il passare del tempo, mi riconosceva leggendo le mie recensioni e mi ringraziava; non era solo un nome che firmava dei testi e importanti spettacoli, ma era davvero lì e potevamo parlare. L’incontro con la mia tutor, la prof.ssa Antonia Lezza, amica e studiosa di Enzo Moscato, ha dato una svolta alle mie conoscenze, al mio metodo, ai miei incontri, alla mia visione della drammaturgia napoletana. Enzo era sempre presente, ogni anno, presso il Centro Studi, fondato e diretto dalla stessa Lezza; ci teneva tantissimo all’incontro con gli studenti dei corsi che la professoressa teneva presso UNISA e che io seguivo come assistente o tutor dei ragazzi, lavorando in Ateneo. Aspettava con ansia i seminari primaverili (consulta l’archivio) che lei organizzava ogni anno presso il Centro Studi e che anche quest’anno lo avrebbero coinvolto. Momenti di grande poesia, di approfondimento, di comparazione tra letteratura e arti, di polemica, di insegnamento e monito per i giovani studenti presenti, per gli attori o i drammaturghi che hanno imparato attraverso questi incontri. Enzo aveva un programma, ma era impossibile rispettare un filo conduttore: i suoi voli pindarici aprivano scrigni di immensa cultura, riferimenti a filosofi ed autori poco conosciuti, inframezzati da aneddoti legati alla sua infanzia, tra storia del dopoguerra e antropologia.
Ricordo quando durante uno degli incontri previsti presso il Centro Studi, Enzo propose la lettura di “Malacqua”, romanzo di Nicola Pugliese, che non conoscevo e che grazie a lui ho amato molto; ci consegnò alcune fotocopie perché il romanzo non era più in stampa da anni e ci diede alcune copie della sua copia personale. Ma non solo: ci coinvolse nell’analisi di alcuni testi di Sándor Márai, autore che ho scoperto grazie al suo intervento.
La sua presenza in mezzo ai giovani era fondamentale, soprattutto quando trascinava con sé la nuova formazione della sua compagnia, ogni anno caratterizzata sempre più da giovani ed emergenti attori, come i suoi stessi nipoti, figli del fratello morto prematuramente, come Giuseppe Affinito, figlio di Claudio, amico, manager e organizzatore della sua vita artistica (e non solo!). Insieme a loro tantissimi altri attori, giovanissimi e non, immancabile Isa Danieli. Proprio lei, dietro le quinte del Teatro di Ateneo dell’Università di Salerno, dopo la messa in scena di “Tà kai Tà”, la cui edizione è stata curata proprio dalla prof.ssa Lezza, davanti ad un teatro gremito di giovani universitari e di studenti provenienti dalle scuole del territorio, si lamentò con Enzo e con noi presenti, dicendo che i ragazzi dovevano spegnere i cellulari ed evitare di far sentire la suoneria, perché disturbavano la loro concentrazione in scena. Enzo non disse nulla, sorrise sornione e accese quegli occhi di chi sa che non può cambiare il mondo. 
Ricordo la sua risata, i suoi occhi accesi, la sua polemica elegante, le sue mani freddissime quando lo salutavo, il suo stordimento dopo lo spettacolo, mentre in fila cercavamo di salutarlo e di fargli i complimenti, il suo abbassare lo sguardo quando lo chiamavano Maestro, la sua timidezza davanti alle foto o alle telecamere, il suo essere schivo, chiuso, poco loquace in alcune occasioni, ridanciano ed esuberante in altre, sfacciato quando qualcosa non gli piaceva, ma sempre con una certa eleganza.
Enzo Moscato ci ha insegnato i concetti di sradicamento e di tradinvenzione, elementi che caratterizzano la sua drammaturgia e la sua vena narrativa, ma anche il suo canto, artista a 360 gradi che combatteva fermamente a favore della scrittura e del testo. Per questo motivo la prof.ssa Lezza ha spesso curato i suoi testi e si sta battendo per la conclusione della digitalizzazione di tutti i testi moscatiani. La scrittura manterrà in vita Moscato, ma un autore-attore come Enzo, così fortemente caratterizzato ed unico, è impossibile da replicare o da imitare sul palcoscenico. Questa forse è la sua eterna grandezza e anche il suo limite.

Nelle foto un momento del Seminario 2018 presso Centro Studi Teatro (www.centrostuditeatro.it)