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Abbondare la strada già battuta per avventurarsi lungo sentieri apparentemente accidentati non è una scelta frequente fra le compagnie teatrali, in particolare se indipendenti e, dunque, costantemente a rischio di perdere fondamentali appoggi e

finanziamenti. Una decisione che, con coraggio, ha compiuto Carrozzeria Orfeo, compagine forte di un pubblico di affezionati sedotti dalla sua cifra programmaticamente politicamente scorretta, con abbondanza di battute e ricorso a un linguaggio “colorito”, utilizzati per dipingere grotteschi quadri di una suburbia misera e negletta. Ritratti a tinte forti ma in cui, nell’irresistibile e inventiva raffica di freddure e nell’apparente inscalfibile cinismo, era possibile intravedere un’intrinseca e genuina compassione verso l’umanità. Una radicata disposizione dell’anima che nel nuovo spettacolo della compagnia, scritto come sempre da Gabriele Di Luca, giunge alfine alla luce, plasmando una drammaturgia meno sincopata ma, al contrario, distesa, in cui non mancano certo arguzie e impertinenti giochi linguistici ma incastonati in dialoghi prolungati e variati, a comporre due atti introdotti e chiusi da un monologo fuori campo dell’unico personaggio femminile, momenti di schietta eppure lirica riflessione su quanto sta avvenendo tanto nell’anima della donna quanto nel mondo.   
Una drammaturgia che si allontana dunque da stilemi precedenti e che, nondimeno, non segnala una rottura con il passato bensì testimonia della necessità di assecondare una sana volontà di sviluppare pensieri e tonalità già presenti in nuce nei lavori precedenti. Uno spettacolo indice della maturità conquistata da Carrozzeria Orfeo che non teme di spiccare il volo e, lasciandosi alle spalle le periferie urbane, muovere all’esplorazione del microcosmo dei “privilegiati”, qui quattro super-ricchi auto-ricoveratisi in un’esclusiva rehab ospitata su un satellite in orbita attorno alla Terra. L’unica donna, Jasmine, è una rock star un po’ ninfomane tradita sia dal produttore-compagno che dalla madre, amante di lui; a ciò si unisce un’atavica dipendenza da anti-depressivi e calmanti e una concezione del femminismo fraintesa dalle frange più massimaliste del movimento. C’è, poi, una coppia di omosessuali all’apparenza mal assortita: il miliardario work alcoholic e il compagno fanatico di pratiche orientali che vorrebbe un bambino. E, ancora, un’altra coppia, un po’ alla Pozzo e Lucky: il capitalista senza scrupoli arricchitosi inventando e diffondendo fake news per i grandi della Terra e il suo servitore, un giovane del Bangladesh con un braccio finto e una passione per l’etologia. A vegliare su questo composito quartetto un coach, in bermuda e magliette colorati, costantemente pieno di entusiasmo e positività ma anche severo e pragmatico nel cercare di guarire i suoi pazienti dalle loro dipendenze. Già da questa discorsiva dramatis personae è possibile evincere la molteplicità dei temi trattati nello spettacolo: femminismo e sfruttamento della manodopera a basso costo dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo; cambiamento climatico ed estinzione progressiva di molte specie animali; sperequazioni sociali ed economiche e pervasiva egemonia dei social-media; nuove famiglie e scontri intergenerazionali; costante aumento delle dipendenze e insufficienza degli strumenti abitualmente utilizzati per contrastarle…
Un lungo elenco che non deve, però, far pensare a una costruzione drammaturgica scarsamente coesa e superficiale poiché quei temi vengono coerentemente presentati quali sintomi di una medesima esiziale patologia: una disorientata fragilità che si traduce in inesorabile vocazione all’auto-distruzione ma che, forse, di fronte alla prospettiva di una nuova rinascita dell’umanità, potrebbe ritrovare dentro di sé risorse insospettate. 
Si chiude, infatti, con una sottile speranza – le piccole mele rosse spuntate su un albero bonsai – questo spettacolo che, scritto appoggiandosi anche alla consulenza filosofica di Andrea Colamedici/TLON, testimonia di una nuova consapevolezza – del proprio talento e della propria peculiare poetica – conquistata da Carrozzeria Orfeo, ora non più schiva nel palesare quel lirismo empatico, quell’ostinata fiducia che uno scampolo minimo di umanità possa ancora sopravvivere e – come recita il titolo – “salvare il mondo”, concepiti ma ancora minuscoli bozzoli nei lavori precedenti.            

Uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo. Drammaturgia di Gabriele Di Luca. Regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Setti. Scenografia e luci di Lucio Diana. Costumi di Stefania Cempini. Musiche originali di Massimiliano Setti. Creazioni video di Igor Biddau. Con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati. Prod.: Marche teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini; in collaborazione con Centro di Residenza dell’Emilia Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora / La Corte Ospitale”.
Visto alle Fonderie Limone, Moncalieri (TO), il 16 gennaio 2024

Foto di Manuela Giusto