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Il cileno Pedro Lemebel (1952-2015) fu scrittore, performer, conduttore radiofonico ma anche appassionato insegnante negli anni oscuri del Cile brutalmente plasmato dal colpo di stato dell’11 settembre 1973. La sua dichiarata omosessualità e, in

primo luogo, la sua granitica libertà di pensiero ne complicarono certo l’esistenza e, nondimeno, non lo convinsero mai ad abbandonare il proprio paese. Un amore verso il Cile testimoniato dalla costante e inflessibile denuncia tanto degli arbitri della dittatura quanto, dopo l’apparente ritorno alla democrazia, le aporie di quest’ultima. Il suo unico romanzo – Lemebel è autore però di molti racconti e altri testi brevi – giunge ora sul palcoscenico grazie all’intuizione di Lino Guanciale e alla complice regia di Claudio Longhi, partendo dalla trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian. Protagonista di Ho paura torero è La Fata dell’angolo, un travestito generoso e passionale – interpretato con empatica adesione dallo stesso Guanciale – che si mantiene ricamando barocche tovaglie per le mogli dei generali sodali di Pinochet. La sua esistenza, volontariamente isolata dalla realtà politica del paese, è scossa dall’incontro con Carlos – l’entusiasta e coinvolta freschezza di Francesco Centorame – uno studente che le chiede ospitalità per i suoi gruppi di studio e per le sue casse di libri. In realtà, il giovane è un militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez e, insieme ai suoi compagni, sta progettando l’attentato del 1986 a Pinochet, da compiersi con le armi nascoste appunto a casa della Fata. Carlos apparentemente approfitta dell’indubbia attrazione esercitata sulla protagonista, “flirta” con lei così da ottenerne l’inconsapevole complicità, salvo poi, nello struggente finale, non soltanto dichiararle la dovuta riconoscenza e assicurarle la protezione per l’aiuto involontariamente prestato al Fronte patriottico; ma, soprattutto, dimostrarle di provare un sentimento di autentico affetto. Parallela e, in alcuni momenti, convergente è una trama secondaria, quella che vede protagonista lo stesso Pinochet – Mario Pirrello, chiamato a calcare sul grottesco, così come Arianna Scommegna, interprete della petulante e vanitosa moglie, Doña Lucia. Attorno a queste due inedite “coppie”, gravitano altrettanti microcosmi anch’essi irriducibili l’uno all’altro: da una parte la comunità dei travestiti e transessuali amici della Fata; dall’altra le lussuose dimore dell’entourage del dittatore. Lemebel, così, rendeva visivamente evidente quella sperequazione – economica e prima ancora valorale e di consapevolezza – che è peculiarità di ogni regime: non soltanto i pochi ricchi e i tanti poveri ma anche i pochi realmente consapevoli dello stato delle cose – il dittatore e i suoi ma anche, non tanto paradossalmente, gli oppositori clandestini – e i tanti che portano avanti la propria esistenza senza badare troppo a quanto accade attorno a loro. A quest’ultima categoria appartiene sicuramente la Fata, immersa nell’universo evocato dalle sdolcinate canzoni d’amore che tanto ama – e la musica ha un ruolo drammaturgicamente significativo nello spettacolo, chiarendo con soavità e malinconica struggenza stati d’animo e moventi di scelte inaspettate. L’incontro con Carlos, tuttavia, la conduce piano piano ad aprire gli occhi sulle prepotenze della dittatura e a decidere, ogni tanto, di sintonizzare la propria radio sulla stazione clandestina del Fronte patriottico… La formazione “politica” della Fata è complementare a quella “sentimentale” di Carlos, che comprende alla fine come il rigore dell’oppositore non può annullare l’imprescindibile umanità delle relazioni interpersonali. E ci pare che proprio queste positive parabole individuali siano il vero nucleo dello spettacolo di Longhi/Guanciale, aldilà della denuncia delle atrocità compiute da Pinochet – e certo il ritratto marcatamente caricaturale della coppia “sovrana” non aiuta a comprendere a fondo la subdola logica e l’intrinseca e sottile forza di un regime sopravvissuto per quasi vent’anni. Uno spettacolo che, ronconianamente, mantiene la terza persona della narrazione nei dialoghi fra i vari personaggi, così come la dislocazione dell’azione in spazi coesistenti - due diversi “livelli” sul palcoscenico e spesso anche in platea, dove si muovono soprattutto i personaggi collaterali, spesso donne “comuni” a denunciare gli orrori della dittatura. Ma la riflessione storica e politica – suggerita dai murales che, ispirati a quelli realmente dipinti sui muri di Santiago, ornano il boccascena del teatro Grassi e incorniciano il palcoscenico – è in verità affogata dalla narrazione della tutt’altro che ordinaria relazione fra Carlos e la Fata che, nel finale artatamente dilatato, si tinge di un certo eccesso di sentimentalismo…  

Dal romanzo di Pedro Lemebel, Traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi. Trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian. Dramaturg Lino Guanciale. Regia di Claudio Longhi. Scene di Guia Buzzi. Costumi di Gianluca Sbicca. Luci di Max Mugnai. Visual design di Riccardo Frati. Travestimenti musicali a cura di Davide Fasulo. Con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero. Prod.: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

Visto al Teatro Grassi di Milano il 21 gennaio 2024

Foto di Masiar Pasquali