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Non era facile, va detto innanzitutto a merito di Gianni Fantoni e di Davide Livermore, insieme alla loro squadra di drammaturghi ben integrata da Andrea Porcheddu e Carlo Sciaccaluga. Non era facile, intendo, portare a teatro una maschera

come “Fantozzi” che appartiene ormai, nelle sue mille caleidoscopiche e anche incoerenti sfumature, all'immaginario di molte generazioni, a partire da quella nata negli anni quaranta e cinquanta del '900 che in quella maschera scorgeva uniti il desiderio di riso dissacrante e la necessità conseguente di essere contrappositivo, alternativo si diceva, rispetto ai valori (lavoro, famiglia, soldi e potere) che quella maschera metteva magistralmente e dolorosamente alla berlina.
Fantozzi, infatti è diventato 'un', anzi 'il', doppio per antonomasia portando su di si sé, in una alienazione senza catarsi, odio e amore, passione e depressione, subordinazione servile e ribellione iconoclasta, slanci sociali e odio per la Società e per i suoi membri, il precipitato in fondo di una inconsapevole voglia di proiezione (e attribuzione) psicoanaliticamente elaborativa.
C'è anche un dato per così dire esistenziale che a mio avviso caratterizza la sua opinione del mondo, triste e pessimista come quella di quasi tutti i grandi 'comici', il suo aver presto abbandonato Genova e non esservi praticamente più tornato, quasi volesse mettere anche geograficamente un distanziamento con quel mondo che, quando lavorava nella 'grande azienda' dei mega-direttori (era icasticamente addetto all'organizzazione di eventi aziendali alla “Cosider”), aveva prodotto, guardando i suoi colleghi, quell'esplodere di maschere grottesche e piene di un vuoto angosciante che lo abitavano.
Un altro esempio di questo atteggiamento lo ritroviamo all'interno dell'amicizia con Fabrizio De Andrè, che produsse tra l'altro due bellissime canzoni, quando all'approssimarsi della morte di quest'ultimo Paolo Villaggio disse “non abbiamo mai avuto più il coraggio, negli ultimi due mesi, né di incontrarci né di parlare della cosa; perché questa volta non era un gioco, non era letteratura, era la terribile realtà”.
Era lo stigma di una idea molto 'genovese' di una vita profondamente radicata nella realtà, per cui, ribaltando le sue stesse parole, “Fantozzi” forse è solo letteratura ma è una letteratura in cui la realtà si fa molto più 'reale' che altrove.
Tra l'altro è significativo il fatto che sin qui solo una volta abbiamo fatto il nome di Paolo Villaggio, quasi che Fantozzi fosse ormai qualcosa di staccato da lui (magari l'avrebbe voluto), mentre l'uomo e l'artista cercavano e trovavano nuovi e interessanti sentieri per la sua ricerca artistica ed esistenziale, con forti riflessi sociali, in televisione, nel cinema e a teatro.
Un ribelle e lucidamente disperato visionario in un momento storico che cercava per la prima volta di mettere in discussione gerarchie, valori e governo sociale, ancora figlie di un Fascismo dell'anima prima ancora che politico (meritevolmente più volte richiamato in scena), uno dei pochi momenti di vero rinnovamento in Italia, nonostante i tragici (e il termine è ancora una volta richiamato) strascichi.
Fantozzi, una tragedia dunque, perché Fantozzi, che in sé riuniva il grottesco del Prof. Kranz e il subdolo arrivismo di Fracchia, è la rappresentazione non tanto di un mondo 'dolente' quanto di un mondo 'cattivo' e assumere su di sé le forme di questo mondo cattivo, quasi una corazza volutamente indossata ad ultima difesa, era l'unico modo conosciuto per rendere quel mondo in qualche modo 'vivibile'.
Davide Livermore e la sua squadra riescono a farlo con successo, in questo spettacolo originale andato in scena in prima assoluta alla rinnovata e all'uopo riaperta sala “Ivo Chiesa” del Nazionale di Genova, perché scelgono opportunamente uno scenario surreale, più che metaforico, fin metafisico quasi che, meta-tetralmente, fosse una rappresentazione ormai eternamente replicata nell'al di là che casualmente e causalmente si affaccia al mondo dei vivi, cercando di ri-conoscervi la sua 'maschera'.
Così la messa in scena riesce a coerentemente amalgamare i lacerti ormai sparsi e dispersi nel nostro persistente immaginario, miscelando con opportunità le sintassi cinematografiche, che sono profondamente nelle corde di Livermore, e che hanno prevalso man mano nella percezione di questo personaggio, quelle letterarie di origine (in tutti i licei genovesi circolavano copie dei suoi libri come testi esoterici) e quelle teatrali della rappresentazione 'celeste', illuminate da significative citazioni del Bardo anche lui maestro nel contrapporre alto e basso, colto e popolare, comico e tragico.
Attorno alla maschera “Fantozzi”, che il bravo Gianni Fantoni 'è' più che recitarlo, ma sempre mostrando la differenza che è il teatro, ruotano rutilanti e rumorose le maschere che sembrano da lui medesimo generate, ma restando lui stesso sempre in una sorta di zona d'ombra paradossalmente illuminante.
Il cast è efficace in tutti i suoi componenti e riesce a sussumere nella quotidianità contemporanea quella (apparente) spontaneità propria della commedia dell'arte, di quei guitti che secondo me costituiscono un altro degli scenari cui è ricorsa la regia, anche nella scelta del ruolo multiplo e della recitazione in doppio en travesti.
Uno spettacolo che supera la prova del palcoscenico, nella drammaturgia, nella regia e nella recitazione, ma anche nelle scene, i costumi, le luci e l'ambiente sonoro.
Al teatro 'Ivo Chiesa”, una produzione del Teatro Nazionale di Genova, dal 30 gennaio all'11 febbraio. Segnaliamo anche che nell'ambito del progetto “Prima diffusa” della Regione Liguria un video delle prove generali e della prima sarà proiettato in RSA, cerceri e REMS, confermando una meritoria politica culturale inclusiva. Sold Out alla prima ed è stata, questa, una risposta convincente della 'sua' città. Applausi ripetuti.

Fantozzi. Una tragedia da Paolo Villaggio, drammaturgia Gianni Fantoni, Davide Livermore, Andrea Porcheddu, Carlo Sciaccaluga, regia Davide Livermore, interpreti Gianni Fantoni, Paolo Cresta, Cristiano Dessì, Lorenzo Fontana, Rossana Gay, Marcello Gravina, Simonetta Guarino, Ludovica Iannetti, Valentina Virando, scene Lorenzo Russo Rainaldi, costumi Anna Verde, supervisione musicale Fabio Frizzi, luci Aldo Mantovani, produzione Teatro Nazionale di Genova, Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli, Geco Animation.